Urina sulla porta della vicina, è battaglia di perizie
Sotto la lente due bigliettini con disegni sconci e parolacce che il dirimpettaio avrebbe lasciato sullo zerbino per “firmare” l’impresa

Quello strano liquido giallo che entra inesorabile da sotto la soglia e colonizza il pavimento di casa.
La porta che poi, una volta aperta, svela la “firma” del responsabile racchiusa in due foglietti vergati a mano, lasciati sullo zerbino con frasi inequivocabili: “Bevila tutta, tro..”, e disegni di organi maschili nell’atto di eiaculare.
Il responsabile di questi gesti si è difatti anche masturbato, lasciando evidenti tracce di sperma sui battenti.
L’inquilina finita nel mirino denuncia.
La Procura indaga e si arriva a processo, ma è battaglia fra i periti proprio su quei due fogliettini secondo l’accusa senza dubbio realizzati dal responsabile: per l’esperto grafologo della difesa essi non sono nella maniera assoluta attribuibili all’imputato, un uomo di 60 anni di origini marocchine che viveva nell’appartamento allo stesso piano della persona offesa in un condominio di via Carnia nel quartiere Bustecche, a Varese.
Per il perito incaricato dal giudice dell’udienza preliminare, invece, la scrittura sarebbe proprio del condomino dirimpettaio.
La vicenda è nota, già trattata nelle cronache giudiziarie di varesenews e se all’apparenza potrebbe far sorridere per la trivialità dei contenuti della vicenda, in realtà svela quell’infernale clima che a prescindere dalle motivazioni che hanno spinto a questi gesti può crearsi tra vicini di casa.
Fatti che non sempre finiscono di fronte a un tribunale. La persona offesa, per esempio, una donna, che ai tempi dei fatti aveva in casa l’anziana madre, parlò di una situazione esasperante, consumatasi nell’autunno del 2013 e che alla fine la spinse a denunciare.
I carabinieri posizionarono infatti microcamere sul pianerottolo che tuttavia, secondo il difensore dell’imputato, l’avocato Fabrizio Piarulli «evidenzia una sola figura, tra l’altro molto sfuocata, da dove è impossibile risalire al responsabile».
I reati contestati sono due: atti persecutori (articolo 612 bis) ma anche atti osceni in luogo pubblico, reato “depenalizzato” che tuttavia prevede la reclusione “da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano” (articolo 527 codice penale).
La prossima puntata è in programma per il primo di marzo sempre di fronte al tribunale monocratico di Varese.
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