L’arte che non ti aspetti, nella fabbrica abbandonata dietro le stazioni
Alla scoperta del lavoro di "tipografo artista" di Simone Giorgio, e il suo laboratorio-studio di via Cimone
A colpire, in prima battuta, è una piccola libreria dove c’è scritto “Bookcrossing“, nel mezzo di una zona dove in realtà ci si immagina che non ci sia null’altro che fabbriche abbandonate: via Cimone, proprio di fronte ad un parcheggio ricavato dall’abbattimento di una di quelle realtà in disuso, circondato da aziende più o meno antiche ma ormai vuote.
Un segno di vita che non ti aspetti, e che ti fa sospettare che non tutto sia desolato. Se poi, per caso, un giorno quella porta si apre come è capitato a noi, ci si trova di fronte a una realtà artigianal-artistica di livello nazionale (e oltre..) sotto forma di maglione norvegese e cappello di lana.
A riempire quel vuoto è infatti Simone Giorgio, classe 1985, “tipografo artistico” da ormai quasi dieci anni, che, ammette, lavora «più a Milano che qua. Per questo lo studio cosi vicino alle stazioni mi fa molto comodo».
Qui si fa tipografica “a mano”, recuperando tutto ciò che è più manuale (e quindi personalizzato e unico) della stampa, che di per sé è uno dei primi passi dell’industrializzazione, ma qui torna alle origini. «Questo posto è nato nel 2011, quando io alcuni miei amici, considerato che c’era la crisi, abbiamo provato a mettere in pratica i nostri studi grafici in proprio. Ci siamo trovati questo locale e qui abbiamo cominciato a fare sperimentazione a livello tipografico: sia sulla tecnica, perchè non c’era nessuno che insegnava, sia sul contenuto».
Il curriculum di Simone è già di tutto rispetto, partendo dai suoi studi: «Ho studiato all’artistico di Varese, il vecchio “sperimentale” di Grafica, poi ho fatto l’Istituto Europeo di Design a Milano. Da lì, poi, ho studiato tanto per i fatti miei: sono stato in Inghilterra a studiare incisione su pietra, ho fatto dei corsi alla Bauer di Web Design, ho approfondito nel tempo la grafica manuale».
Lo studio però è da artista primi novecento: muri di cemento grezzo, grandi tavoloni in legno, vecchie cassettiere, temperatura interna bassa, una stufa a legna con sopra il pandoro per riscaldarsi un po’. Del resto, siamo nel cuore della zona di aziende abbandonate della zona Bainsizza- Stazioni: «Lo spazio è abbastanza dismesso, ormai – ammette – Quando io ho aperto, la Siev era ancora in funzione. Al momento però i magazzini sono quasi tutti abbandonati».
Come va? «Beh, è difficile, ma si campa. Non si diventerà ricchi ma è un bel lavoro, dà soddisfazione, ti dà la possibilità di fare cose interessanti…»
Anche perchè la prospettiva è ambiziosa: «La nostra idea è di riuscire a mettere il digitale nell’analogico e l’analogico nel digitale – spiega Simone – Con le tecniche di oggi, tramite scansioni e digitalizzazione, o anche nuovi software io posso lavorare a mano, fare un artwork che ha tutto il gusto della manualità, e poi trasformarlo e portarlo alla grande distribuzione. Un po’ di anni fa, per esempio, abbiamo lavorato per una azienda di underware, che faceva il lancio a New York. Noi abbiamo realizzato tutti gli artwork della parte tipografica, poi li abbiamo scansiti in altissima rivoluzione, abbiamo spedito il tutto. Così da là hanno potuto stamparla su teloni di 12 metri o 20 metri di altezza, cose cosi».
Il risultato è un lavoro molto apprezzato, ben oltre i confini della città giardino: «Collaboriamo tanto con il Leoncavallo: li abbiamo conosciuti in un summit di tipografia che organizziamo li’ da un po’ di anni ormai. abbiamo lavorato per alcuni anni per Mondadori: “Casa Facile”, riviste di questo genere. Per loro producevamo principalmente titoli di articoli: disegnavamo manualmente il titolo, poi facevamo la scansione, mandavamo loro il materiale che poi mandavano in stampa».
Varese non è ancora a “portata di ambizioni” sono poche le espressioni artistiche praticabili in città: «Un bell’esempio però è quello dello spazio SubStrato: quello è uno spazio dove le espressioni artistiche varesine hanno un luogo dove mettersi in gioco. Però è vero, noi non lavoriamo molto in città a Varese. Se ci capita, di solito facciamo cose piu classiche: bigliettini, cose così. A parte quello che facciamo con Stefano (Beghi, patron di Karakorum teatro ndr) e con Karakorum teatro: abbiamo con loro già fatto grafiche, come manifesti di scena. Cose di questo genere ci capitano più probabilmente su Milano e in altri posti d’Italia: come quando abbiamo lavorato con Lucca Comics, per un evento che ci ha fatti lavorare prima con i giornalisti in conferenza stampa poi con i fumettisti a Lucca durante il festival».
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