Una via dedicata a “Zorro” Zamberletti, un cerotto sulle ferite della nostra toponomastica
Di Pierfausto Vedani
Più di 40 anni or sono il giorno dell’addio al Friuli di Zamberletti erano in duecentomila nella piazza principale di Udine ad applaudire e ringraziare uno dei migliori esempi delle capacità e della genialità della gente varesina. Non è un caso che lo Stato e il Governo si siano mobilitati per l’ultimo saluto a un ex ministro di un tempo lontano, di un’altra Italia. Un saluto e un ringraziamento per il suo impegno, innovativo ed esemplare, nel ridare vita e speranza a una popolazione disperata per i suoi mille morti e le imponenti distruzioni. E non è stato un caso che alle esequie di Zorro in san Vittore abbiano presenziato sindaci e rappresentanze friulani. (nella foto il ministro Zamberletti in visita al Friuli terremotato)
Varese conosceva bene la silenziosa grandezza di Giuseppe Zamberletti, ma come si è fatto per altri importanti personaggi, essendo lui ancora in vita, avevamo già archiviato la pratica sistemandola nello scaffale di una memoria distratta, non coltivata, soffocata anche dalla trascuratezza di chi avrebbe dovuto gestirla, mondo della comunicazione compreso, il mio.
Si tenta già di recuperare e infatti Zorro è appena arrivato al cimitero del Sacro Monte, sacro anche a lui e alla sua famiglia, ed ecco che si è già all’odierno, storico massimo possibile del pubblico ricordo con la proposta di dedicargli una via o una piazza. La toponomastica a Palazzo Estense attrae molto, costa poco, però è già stata occasione di brutte figure innanzitutto per la mancanza di aree e spazi dignitosi atti a sollecitare alla collettività il ricordo di cittadini esemplari. Così abbiamo oggi strade di lunga storia e dedicate a benefattori, oggi mai ricordati, ai loro giorni protagonisti nella realtà ancora poco nota di una comunità periferica del territorio e del potere lariani.
Non bastasse, la frana bosina della toponomastica è continuata senza che nessuno sottolineasse la necessità di un aggiornamento indispensabile per evitare le esequie culturali delle varie giunte comunali, nessuna esclusa, dell’età contemporanea. Alcune perle di Palazzo Estense. A Renato Guttuso, cittadino onorario di Varese , inizialmente fu intitolata una viuzza di Velate, notissimo ritrovo dei cani stitici della zona, colti al lavoro anche da un fotografo.
Per Edgardo Sogno, medaglia d’oro della Resistenza, si è scelto il “largo”, davvero microscopico, davanti all’Impero, ma la dedica è una stecca incredibile: Sogno nulla di rilevante ha fatto per Varese. Per di più accanito anticomunista, tutto è stato meno che uno statista: essendo ribelle e coraggioso ha avuto anche problemi giudiziari probabilmente immeritati. Chi a Varese lo ha voluto come esempio di uomo di Stato, lo ha trattato meglio di Alcide De Gasperi (finito in un parcheggio a Masnago). Il leader democristiano da studiosi della politica più volte è stato indicato come il solo vero statista italiano del Novecento. A Varese è possibile che ci sia stata anche una “perfidia” di destra nel non voler ricordare Sogno per quello che realmente fu: un partigiano da medaglia d’oro.
Nel lungo dominio della Lega Nord, voluto dalla maggioranza degli elettori, la sola opera importante per Varese è stata il teatro tenda, cioè di ripiego, dedicato al professor Apollonio, illustre insegnante alla Cattolica, apprezzabilissimo esperto di storia del teatro, come tale però ignoto a milioni di italiani, varesini compresi.
Antonio Ghiringhelli, nato a Brunello, ha studiato e lavorato a Varese prima di diventare uno dei più celebrati e famosi manager teatrali a livello internazionale. Chiamato dal sindaco di Milano, l’angerese Greppi, alla fine della seconda guerra mondiale Ghiringhelli ricostruì e rilanciò nel mondo, anche come ambasciatrice di una Italia nuova, la Scala, tempio storico della musica e del canto. Ghiringhelli la fece ricostruire in un anno e la gestì, senza percepire nessun compenso, sino alla morte, avvenuta alla fine degli anni 70. Personaggio di statura internazionale, figlio della nostra terra, non è mai stato preso in considerazione a Varese mentre Milano lo ha ricordato nel suo famedio e con un “largo” a fianco del più celebre teatro del mondo.
Si stanno portando avanti progetti di una Varese migliorata dal punto di vista urbanistico e del servizio ai cittadini e ci sono opere che potrebbero essere intitolate a grandi uomini come Zamberletti e Ghiringhelli; in queste opere ci sarebbe spazio anche per un famedio “laico”, non cimiteriale, senza barriere e pregiudizi, per ricordare anche altri cittadini meritevoli.
Sarebbe una importante novità, un luogo di incontro, di attività culturali, di amicizia, di avanguardia per chi ama la collettività e non vuole dimenticarne sia le migliori espressioni sia le presenze passate inosservate o quasi come quella del protocomunista e rivoluzionario Peppino Frongia, sgradito ai militanti filosovietici del Pci perché marciò in Varese con i “compagni” che contestavano la sanguinosa repressione dell’Urss della rivolta ungherese. Era l’ anno 1956.
Frongia, sardo, a 10 anni era in miniera a lavorare, amico di Berlinguer, Gramsci, Togliatti, Leonetti, aveva vissuto come semiclandestino durante la dittatura fascista continuando a girare per l’Italia facendo umili mestieri. Fu poi sindacalista e a Varese negli Anni 50 si diede una residenza stabile sino alla morte, avvenuta nel 1980.
Nel grigiore toponomastico di casa nostra ci fu la luce del ricordo del microscopico rivoluzionario di sinistra che da subito contestò duramente e con coraggio anche i brigatisti come terroristi feroci e non compagni che sbagliavano.
Capito e valutato Frongia – che avrebbe fatto pace con il Pci e davvero fu determinante per l’arrivo a Varese di Berlinguer per lo storico comizio al Palasport- il Comune gli dedicò una modesta via di Mustonate. Che però sarebbe stata cancellata dallo stradario e dalla memoria cittadina perché trasformata in accesso al parcheggio di un ristorante.
Non si ricordano comunicazioni relative al recupero toponomastico di Peppino Frongia, nome di battaglia Barnaba, microscopico profeta rivoluzionario che si ribellò anche al Pci perché non si sottraeva all’imperialismo sovietico nei dolorosi giorni di Budapest. E che generosamente sempre aiutò i lavoratori più indifesi ricordando la sua terribile esperienza di giovanissimo minatore: dai 10 ai 14 anni lavorando tutti i giorni in miniera a cavare carbone aveva dimenticato la luce del sole. Dal lettino dell’ospedale serenamente confidò a un cronista questo suo terribile impatto con la vita..
Abbiamo oggi un consiglio comunale ricco di persone appassionate e intelligenti: siano sempre più se stesse e badino anche a riforme interne, a non seguire più nei partiti triti assertori dell’assolutismo partitico fine a se stesso. Le riforme non sono solo utili, ma indispensabili come i dettagli nei grandi progetti. La cultura, non quella aulica, baronale, è un’arma non costosa e vincente. Ed essendo determinante in qualsiasi scelta a favore della nostra comunità allora diventa una precedenza se si guarda alla toponomastica, settore più difficile e complicato di quanto non si pensi. È sufficiente infatti considerare la burocrazia di nomi, numeri, indirizzi che fa prevalere i tecnicismi sulle valutazioni politico-culturali. Situazione che meriterebbe nuove analisi perché di fatto blocca mutamenti, revisioni e una agilità al momento non possibili perché si ripercuotono su altre strutture amministrative. Una simile quasi totale rigidità richiede cura particolare e bandisce errori o autentiche servizievoli stupidaggini in termini di toponomastica. Ecco perché qui si deve parlare di cultura.
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Fra i grandi ingiustamente dimenticati dalla nostra toponomastica mi permetterei di aggiungere anche il Prof. Salvatore Furia. Ha fatto tanto per Varese e non solo, e tutti quelli che lo hanno conosciuto lo ricordano con affetto e gratitudine.
Fabio