Roberto Saviano per la nuova edizione de “Il male accanto”
L'autore di "Gomorra" ha realizzato lo strillo del libro di Massimiliano Comparin che racconta la vicenda di Emanuele Riboli, ucciso nel 1974
«A volte i libri sono un po’ come tizzoni sotto la cenere, cui basta soffiare per tornare ad accendersi…».
Per Massimiliano Comparin e il suo “Il male accanto” è proprio così. Il libro, uscito per la prima volta nel 2015, torna nelle librerie con una nuova edizione il 21 marzo 2019 (Jouvence).
Ad impreziosire il lavoro di Comparin, 46 anni, direttore editoriale della Edizioni dEste, drammaturgo e scrittore, c’è una “perla” in più: lo “strillo”, la frase incisiva e sintetica riportata in evidenza, è di Roberto Saviano, il giornalista napoletano sotto scorta, noto per le sue inchieste sulla camorra e per i suoi libri, primo fra tutti “Gomorra”.
«L’ho conosciuto tramite Linda De Luca, la sua traduttrice: lei ha letto i miei libri e ha chiesto a Roberto di leggere “Il male accanto” – spiega Comparin -. Lui lo ha fatto, gli è piaciuto e mi ha contattato: è stato molto gentile e disponibile, d’altronde il libro è nelle sue corde per i temi che tratta».
LA RECENSIONE
“Il male accanto”, la Varese più nera raccontata in un romanzo
«Il traino di Saviano può aprire nuove possibilità per far conoscere la vicenda di Emanuele Riboli, avvenuta nel 1974, ma dimenticata per troppo tempo da un territorio che vive la malavita organizzata come un oggetto esterno – prosegue Comparin -. Al contrario mafia, ‘ndrangheta e camorra sono da tanto tempo ben radicati nel Varesotto, con personaggi di spicco ospitati qui per via di contatti e connivenze di vecchia data. In “Il male accanto”, diventato anche un’opera teatrale, parlo dei primi insediamenti in provincia di Varese, datati 1952, più di mezzo secolo fa: in questi anni il crimine organizzato si è trasformato, ripulito, nascosto, ma non è sparito, anzi. A maggior ragione oggi serve sollevare il velo su quello che è diventato, senza vederlo come una cosa lontana, imbarazzante, fastidiosa. Troppo spesso c’è stato una sorta di timore omertoso: delle mafie si parla quando sono lontane, quando sono vicine si fa finta di nulla. In provincia di Varese non c’è una scuola, una piazza, un edificio intitolati ad Emanuele Riboli, continuare a fare finta di niente non si può».
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