Se cambia la fabbrica, cambia il lavoro
L'avvento del digitale impone un cambiamento nel capitale umano. All'assemblea dei gruppi merceologici delle imprese “Meccaniche” e delle “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie” si è parlato del lavoro che verrà
Come il digitale cambia il contesto aziendale? Una domanda cui si è cercato di fornire risposta durante l’assemblea congiunta dei gruppi merceologici delle imprese “Meccaniche” e delle “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie” dell’Unione degli industriali della provincia di Varese dedicata al tema “Il lavoro che verrà”. Il secondo degli appuntamenti che accompagnano le imprese verso l’appuntamento con l’assemblea generale di Univa che si terrà il prossimo 27 maggio.
«Prima di tutto dobbiamo mettere a fuoco la questione – ha sottolineato Annamaria Simonazzi, professoressa di Economia de “La Sapienza” – Oggi non si parla di tecnologie al centro del dibattito ma di relazioni tra le stesse e di contesti. Industria 4.0 non è solo investimento di macchine, ma un vero e proprio nuovo scenario che prevede una riorganizzazione della fabbrica e del progetto produttivo e che richiede una formazione non solo del lavoratore ma dell’imprenditore stesso».
In evidenza la necessità di avere una forza lavoro adeguata alle nuove esigenze, acquisendo in azienda le competenze necessarie e superando divari, come quello della disparità di genere. Per Pierangelo Albini, direttore Lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria bisogna prendere atto innanzitutto del fatto che “le relazioni industriali oggi sono fatte di relazioni industriali e di relazioni con le persone. È qui che va fatto l’investimento in innovazione in un momento in cui si apre una stagione nuova di grande cambiamento. È diventata l’interconnessione il concetto chiave sul tavolo: il rapporto nuovo dell’uomo con la macchina è, infatti, un dato di fatto di cui bisogna prendere atto. Le relazioni industriali d’ora in poi dovranno essere costruite su nuove basi e le persone si dovranno attrezzare culturalmente ad affrontare il cambiamento. Eppure, non sempre chi si occupa di relazioni industriali coglie in pieno questa vera e propria rivoluzione. Bisogna invece farsi delle domande sul cambiamento e analizzare la realtà. Questa ci dice che la maggiore difficoltà attuale è trovare le persone giuste. Per questo bisogna assolutamente puntare sull’education e su una formazione di alta qualità».
«In azienda quando parliamo di organizzazione smart notiamo un divario tra le professionalità reali e le definizioni del contratto nazionale di lavoro. Oggi non è quello che si fa, ma il come, che fa la differenza: questa innovazione di processo passa naturalmente dalle persone» ha aggiunto Carmine Trerotola di Whirlpool Emea, che aggiunge: «Il lavoratore smart, cioè intelligente, è quello responsabile che sa confrontarsi con cose nuove. Non è l’oggetto che cambia, ma cambia il modo in cui lo fa: pensiamo al frigorifero intelligente ad esempio. È con questo che ci si deve confrontare. Ed è ovvio che devono cambiare le regole».
Barbara Colombo, di Ficep spa ha, invece, illustrato i grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nella sua azienda, sottolineando il valore di due fattori: in primis, l’introduzione della lean manufactury che, in particolare, ha aiutato a portare giovani in azienda e che, con l’introduzione di regole, ha aiutato a migliorare il metodo di lavoro. Il secondo punto, secondo l’imprenditrice, è l’industria 4.0. “Dicevamo ‘si è sempre fatto così e così bisogna fare’ e invece no” ha spiegato la vicepresidente dell’azienda meccanica di Gazzada. «Abbiamo creato un’academy interna per la formazione dei lavoratori, ma il problema in generale è che non ci sono abbastanza giovani che vogliono lavorare nel manifatturiero e mancano alcune competenze specifiche, come quella meccatronica. Sicuramente serve una nuova cultura: le famiglie dovrebbero capire che il lavoro è cambiato ed è bello e affascinante e dovrebbero rivalutare gli istituti tecnici, che tra l’altro sono un fiore all’occhiello del territorio».
Il futuro, hanno convenuto sia Pierangelo Albini, sia Barbara Colombo, si chiama ITS, Istruzione Tecnica Superiore. Quella post-diploma che già oggi garantisce tassi medi di occupabilità dei ragazzi superiori all’80%.
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