Contro le parole del disprezzo serve una resistenza linguistica

La linguista Valeria Della Valle è intervenuta alla serata sui migranti organizzata nAzione umana e Comitato Intersos Milano alla scuola Vidoletti di Varese

Avarie

«Non tutto è perso. Ci sono ancora spazi di resistenza linguistica». Valeria Della Valle, linguista dell’università La Sapienza di Roma, chiude così il suo intervento in videoconferenza all’incontro dedicato ai migranti, organizzato da nAzione umana e Comitato Intersos Milano alla scuola Vidoletti di Varese. L’invito a resistere è il punto di arrivo naturale di un’analisi che da tempo denuncia il ritorno del linguaggio fascista nell’italiano corrente. Tra i protagonisti di questa resurrezione linguistica c’è, manco a dirlo, il sempiterno Berlusconi. «Il “Secolo d’Italia” – ha raccontato la linguista – commentando la risposta del Cavaliere a una giornalista che gli chiedeva della sentenza di Strasburgo, per la sua riabilitazione dopo la condanna, scrisse che si trattò di “un sublime e fascistissimo Me ne frego!”».

Le parole del disprezzo e della violenza sono entrate nella quotidianità, sdoganate da una stampa che spesso si nutre delle metafore tossiche coniate dai politici. La lingua che insulta ha contagiato tutti, il turpiloquio è entrato di prepotenza persino in parlamento, minando la premessa linguistica che è alla base del contratto sociale. «Nel linguaggio c’è un effetto rispecchiamento – ha sottolineato Valeria Della Valle – C’è l’ostentazione di un italiano sciatto, l’orgoglio dell’ignoranza che sanciscono il passaggio dal politichese al “gentese”, dove il livello più basso diventa un’arma retorica».

Gisa Legatti, organizzatrice dell’incontro, introducendo la serata, ha ricordato come l’uso di sinonimi al posto della parola migrante può generare una percezione distorta del fenomeno nell’opinione pubblica. «Le parole non sono neutre e usare il termine clandestino – ha spiegato Legatti – ha ricadute negative e genera un sentimento di paura». Quando si tratta di generalizzare o categorizzare qualcuno, la lingua sembra innestare una marcia automatica e inesorabile. Eppure c’è stato un tempo che anche in tema di migranti nessuna parola era data per scontata. «Questa è una terra di immigrazione – ha detto Enzo Laforgia, storico e professore del liceo classico Cairoli – e qui ci sono stati grandi flussi negli anni del boom economico, prima dal Veneto e poi dal sud Italia. Il “Luce” che era il giornale storico della Curia invitava i lettori ad accogliere “i nuovi parrocchiani”».

I fatti di Torre Maura, il quartiere di Roma dove l’arrivo di un gruppo di Rom, perlopiù donne e bambini, ha scatenato la reazione degli abitanti sostenuta da Casa Pound, sono il frutto avvelenato di quel linguaggio violento che alcuni politici hanno legittimato. D’altronde, «la lingua è più del sangue», diceva il filosofo tedesco Franz Rosenzweig, e come tale è in grado di travolgere tutto.
«La cosa che mi ha indignata di più – ha concluso Valeria Della Valle – è stato leggere un commento su un social network di un giornalista secondo cui il quindicenne che ha affrontato senza paura sul piano dialettico gli attivisti di estrema destra parlava un cattivo italiano. Non era vero, per semplicità e chiarezza, è stato esemplare».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 11 Aprile 2019
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