La Fuga in Egitto: il capolavoro introspettivo di Guttuso
La scelta di monsignor Pasquale Macchi suscitò diverse perplessità e polemiche, oggi è è diventata una tappa fondamentale della salita al Sacro Monte
Era il 1983 quando monsignor Pasquale Macchi, storico segretario di Paolo VI e allora arciprete del santuario di Santa Maria del Monte, chiese a Renato Guttuso di uscire dal suo studio di Velate e lavorare all’aperto al grande affresco alla terza cappella della Via Sacra. [© ph. Paolo Zanzi]
Una scelta coraggiosa perché Guttuso non era certo un pittore di chiese, né tanto meno un artista di ispirazione sacra, ma piuttosto legato alla rappresentazione della realtà e del presente. Più tardi l’artista dirà che quella Fuga in Egitto «fu un’esperienza rara, unica» che lo aveva indotto a riflettere sulle ragioni della nostra vita.
Guttuso fu capace, con sua cifra stilistica, di impregnare il racconto del Vangelo di Matteo di tutta la realtà di cui era capace: nella scelta dei colori, del taglio prospettico e nel volto dei protagonisti. Una parabola triste di una famiglia realmente ebrea e palestinese ad un tempo, che si poteva vedere in quegli anni nei servizi televisivi e nei reportages fotografici dal Medio Oriente, flagellato dalla guerra.
L’artista porta i colori della sua Sicilia, la luce intensa e luminosa. Diversamente all’iconografia tradizionale San Giuseppe non procede a piedi ma anch’egli cavalca la groppa dell’asino. Una colomba e non un angelo guida la famiglia in fuga verso la salvezza, un invito alla pace.
In molti furono perplessi di fronte a quell’incarico che andava a sostituire la scena dipinta nel Seicento da Francesco Nuvolone ormai quasi completamente cancellata dalle ingiurie del tempo, ma nel tempo Varese e i varesini hanno “adottato” quel lavoro così profondo e introspettivo dell’artista che oggi è diventato una tappa fondamentale della salita al Sacro Monte.
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