Clandestino perché in fuga dalle “pandillas”: assolto
Il ragazzo, 25 anni originario del Salvador si è ricongiunto con la famiglia e ha richiesto la protezione internazionale
Sono famiglie divise dal bisogno, spesso in fuga dalla violenza che cercano fortuna in un altro Paese. Così mamma e papà oggi hanno assistito al processo del figlio imputato per il reato di clandestinità dopo essere stato fermato dalla polizia in seguito al mancato adempimento di un ordine di espulsione.
Ma il motivo per cui il giovane tornò in Italia ha un nome: pandillas. «In Salvador – ha ricordato il suo legale Marco Bianchi – è da anni in corso una guerra tra bande dove le prime vittime sono i giovanissimi, reclutati a caso e inquadrati in questi gruppi di malavitosi che si fronteggiano e si ammazzano per strada».
Un fenomeno che non può minimamente venir inquadrato nell’alveo delle “semplici” baby gang di casa nostra, sebbene soprattutto nelle grandi città del Nord – specialmente a Milano – diversi sono i gruppi di “latinos” attecchiti a casa nostra.
Ma in Salvador è un’altra cosa. Perché il Barrio 18 e la Mara Salvatrucha (MS13) sono come Cosa nostra e si battono per il controllo del territorio con un’escalation di violenza e omicidi che ricorda la guerra civile di quarant’anni fa.
È in questa temperie che è maturata l’idea di questa famiglia di abbandonare il paese. Prima partirono i genitori, poi arrivò anche il ragazzo, nel 2011. Ma in Italia era da considerarsi un clandestino: difatti venne fermato dalla Polizia ed espulso. Ma, oltre al pericolo delle maras (altro nome delle gang salvadoregne) vi era la necessità di ricongiungersi coi propri parenti, quindi tornò di nuovo in Italia e nel 2015 venne ancora fermato dalla questura nel corso di un controllo. E qui sono ricominciati i guai. Il ragazzo è incorso nel dispositivo dell’articolo 13 del Testo unico sull’immigrazione.
Oggi si è celebrato l’ultimo atto del processo che lo ha visto assolto “perché il fatto non costituisce reato”: è stata questa la formula utilizzata dal giudice.
Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a 8 mesi. «Ora attendiamo di leggere le motivazioni ma appare evidente che il ragazzo si è trattenuto in Italia per stato di necessità. Abbiamo fatto richiesta di protezione internazionale, e gli è stato concesso un permesso provvisorio col quale il ragazzo potrà cercarsi un lavoro e costruirsi una vita lontano da quello che sta accadendo nel suo Paese d’origine», ha spiegato l’avvocato Bianchi nel commentare la sentenza.
TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE ARTICOLO 13
Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell’interno può disporre l’espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri.
2. L’espulsione è disposta dal prefetto, caso per caso, quando lo straniero:
a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell’articolo 10;
b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’articolo 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo ovvero se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68;
c) appartiene a taluna delle categorie indicate negli articoli 1, 4 e 16, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
2-bis. Nell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.
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