Povertà educativa e abbandono scolastico: il mondo dei ragazzini
Secondo i dati del progetto React un dodicenne su 4 ha l'ansia di andare a scuola, il 40% abbandonerebbe gli studi e il 56% giudica noiosi i programmi e inutile la scuola
Un progetto per contrastare la povertà educativa e favorire inclusione e benessere dei ragazzi che vivono in contesti difficili: questo il programma di REACT (Reti per Educare gli Adolescenti attraverso la Comunità e il Territorio), selezionato da “Con i bambini” e finanziato dal Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Un progetto nazionale che ha fotografato la povertà educativa in Italia attraverso i dati raccolti dall’Università Cattolica per WeWorld Onlus, promotore dell’iniziativa, per comprendere chi sono i ragazzi a cui si rivolge l’intervento. Sono 1582 i ragazzi e le ragazze di 12 anni che hanno risposto al questionario somministrato dall’Ateno, facendo emergere un pericoloso scollamento tra istituzione scolastica e vita reale, con segnali d’allarme preoccupanti per abbandono scolastico.
In particolare REACT è attivo dal settembre 2018 in Piemonte, Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia, Sardegna, regioni in cui sono stati individuati 10 quartieri periferici caratterizzati da situazioni critiche di disagio socioeconomico. Il progetto coinvolge 3200 ragazzi, 1700 famiglie vulnerabili e 690 insegnanti e si sviluppa attraverso un modello innovativo che mira da un lato a rafforzare gli adolescenti, migliorandone le competenze nel passaggio critico tra I e II grado della scuola secondaria. Allo stesso tempo vengono potenziati i soggetti formali (come insegnanti e operatori sociali) e informali (quali famiglie, volontari, cittadini, operatori territoriali) che rappresentano, a vario titolo, la comunità educante.
Nei Centri educativi, che integrano il lavoro educativo realizzato dalle scuole, gli adolescenti e le loro famiglie possono trovare uno spazio adatto a loro e che offre diverse opportunità: formazione di competenze personali attraverso attività laboratoriali innovative e percorsi di orientamento, supporto allo studio, percorsi di supporto a genitori e famiglie vulnerabili attraverso counseling e formazione su competenze genitoriali. I centri, inoltre, permettono ai ragazzi anche di sviluppare attitudini o vocazioni che la scuola spesso non riesce a trovare o risvegliare.
CAUSE DI POVERTÀ EDUCATIVA
Famiglie disgregate e monoparentali, adolescenze precoci ed esposte a comportamenti devianti, degrado e criminalità, scarsità di risorse economiche, solitudine e scuole che spesso non hanno strumenti per aumentare la resilienza dei minori. E poi mancanza di opportunità, assenza di spazi in cui coltivare idee, confrontarsi e sperimentare il valore del talento per formare la propria personalità in maniera indipendente da problemi familiari e da esperienze negative. «Queste sono solo alcune delle cause che inchiodano in fondo alla scala sociale migliaia di bambini e adolescenti nati e cresciuti nelle periferie, e in particolare al Sud, dove aumenta il grado di separazione dalle Istituzioni». dichiara Marco Chiesara, presidente di WeWorld.
I DATI EMERSI DAL QUESTIONARIO
Il questionario ha indagato il rapporto dei ragazzi con i genitori, con sé stessi, con la scuola, gli insegnanti e il gruppo giovanile, per poi passare alla relazione con tre poli territoriali (scuole, centri educativi e luoghi della cultura urbani).
Per quanto riguarda il rapporto con la scuola, emerge un grande scollamento tra l’istituzione scolastica e la vita reale, con segnali d’allarme preoccupanti di abbandono scolastico: 1 ragazzo su 4 si dice in ansia all’idea di andare a scuola, il 40% abbandonerebbe gli studi (soprattutto i maschi e con basso capitale culturale) e il 56% dichiara apertamente che i programmi sono noiosi e la scuola inutile.
Migliorano le risposte relative alla sfera personale e familiare: la maggioranza degli studenti ritiene che i genitori abbiano un’immagine positiva dei figli (sono orgogliosi, interessati, chiedono il rispetto delle regole, si informano sulla scuola) e ha una immagine di sé sostanzialmente positiva (capacità di impegnarsi a scuola, collaborare, risolvere problemi, affrontare ostacoli ed esprimere opinioni).
Ma lo studio dell’Università giudica critici altri dati: 1 genitore su 2 non controlla il diario, il 42% dei ragazzi non è aiutato nei compiti e 1 ragazzo su 3 si sente incompreso dalla famiglia. Solo il 14% dei ragazzi dichiara di poter esprimere pienamente le proprie opinioni con gli insegnanti. Più in difficoltà gli studenti stranieri e chi ha subito una bocciatura e addirittura il 46% dei ragazzi si vergogna a parlare in classe.
Per quanto riguarda il rapporto con gli insegnanti, seppur connotato positivamente a livello generale (riconosciuti dagli studenti come persone di cui fidarsi, che ascoltano, consigliano, conoscono i singoli, comunicano con i genitori), c’è un campanello d’allarme:la stragrande maggioranza (76%) ritiene che i professori non conoscano le cose importanti della vita dello studente fuori dalla scuola e più di un terzo si sente discriminato.
I partner che fanno parte di REACT sono scuole e enti del terzo settore: Associazione Arcoiris, Fondazione Domus de Luna, Fondazione Somaschi, Associazione Per Esempio, Associazione culturale Clac, Associazione Patatrac, Cemea del Mezzogiorno, Cooperativa Via Libera, Cooperativa Diapason, Associazione Bergamo Scienza, Cooperativa Terremondo e Associazione Asai.
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