Ricatto via web, a distanza di due anni condannato l’estorsore
Un criminale informatico 43enne entrò nel computer di una famiglia gallaratese e chiese migliaia di euro minacciando di divulgare dati sensibili. La famiglia non si piegò e ora ha avuto giustizia: sono stati gli unici a costituirsi parte civile, tra 28 ricattati
Hanno subìto un ricatto informatico, non hanno ceduto all’estorsione e oggi – a distanza di due anni – vedono condannato il loro estorsore. È stata una storia dolorosa, per una famiglia di Gallarate che nel 2017 si vide sottrarre dati personali e sensibili dal proprio Pc.
Venerdì scorso il Gup di Milano ha condannato a 5 anni di carcere David Sirca, 43enne di Trieste, già detenuto proprio nel carcere della città giuliana.
I fatti risalgono al 2017, quando Sirca si introdusse – mediante un trojan – nel computer della famiglia di Gallarate, sottraendo materiale privato e dati sensibili. La famiglia fu minacciata, fu chiesto di pagare in diverse occasioni: in un caso, inizialmente, si piegarono al ricatto ma poi decisero di denunciare pubblicamente l’estorsione (per togliere un’arma di ricatto all’estorsore).
Nel frattempo le accurate indagini della Polizia Postale hanno consentito di ricondurre il caso ad una serie di altri episodi che hanno portato fino a David Sirca. Ventotto le vittime indicate nel capo d’imputazione a carico dell’uomo, estorsioni riuscite o solo tentate, in grandissima parte nella zona intorno a Milano (la prima a Melegnano, poi Varedo, Seregno, Melzo, Monza, Segrate), ma anche – a titolo di esempio – in un paesino della Romagna: Sirca è stato arrestato dalla Polizia, su ordine della Procura di Milano, a inizio 2019.
La famiglia ha ricevuto anche una proposta di risarcimento del danno, quantificato «nel solo rimborso di bitcoin pagati, per un valore di 4300 euro», spiega l’avvocato Pietro Romano, che rappresenta la famiglia. «La conciliazione non è avvenuta».
Venerdì scorso l’Udienza Preliminare: l’avvocato di Sirca ha chiesto rito abbreviato e ha addotto problemi economici come causa della condotta dell’uomo, il Pubblico Ministero Enrico Pavone ha chiesto 5 anni e 4 mesi. Alla fine il Gup Roberto Arnaldi ha condannato l’imputato a 5 anni, ha disposto una provvisoniale di 5mila euro a favore della famiglia danneggiata (oltre ai costi di parte civile). Confermata anche la detenzione in carcere: Pm e parte civile si sono opposti adducendo la possibilità di reiterazione del reato, viste le particolari modalità con cui è stato commesso. «Ringrazio il Pm e la Polizia Postale per la professionalità con cui hanno condotto l’indagine e hanno portato fino alla condanna» commenta ancora l’avvocato Romano.
La famiglia di Gallarate è stata l’unica, tra le 28 vittime, a costituirsi parte civile. Perché volevano dare un segnale, come quando denunciarono il ricatto: non si deve cedere ai ricatti, anche informatici, e chi ricatta online non può nascondersi dietro all’anonimato, perché può essere raggiunto comunque dalla Legge. E pensare che l’estorsore, nelle sue mail minatorie, si vantava proprio del fatto che sarebbe stato inutile rivolgersi alla Polizia Postale.
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