De Sanctis: “Bene il nuovo teatro. Ma pensiamo al Politeama delle persone”
Intervista al direttore dell’attuale teatro di Varese, Filippo de Sanctis: che racconta delle soddisfazioni per la notizia dell’arrivo del nuovo teatro al Politeama, ma anche delle preoccupazioni di chi ha per 16 anni portato avanti il teatro in città
Ormai la scelta è concreta: il nuovo teatro di Varese sarà al Politeama. C’è l’accordo tra Comune e Regione, ci sono i soldi, c’è la disponibilità del proprietario dell’immobile, la fondazione Molina. Ma un teatro, e un team che ci lavora da anni c’è già: abbiamo perciò chiesto a loro un parere tecnico sulle scelte fatte dall’amministrazione.
«Siamo molto felici che l’amministrazione voglia impegnarsi in questo progetto: la città se lo merita, anche per i risultati raggiunti e mostrati qui, in piazza Repubblica – spiega Filippo De Sanctis, alla direzione del teatro di Varese da 16 anni – Ci vuole però anche una parte progettuale: bisogna cioè decidere quanto si vuole spendere per metterci dentro quelle persone vive che, nei fatti, creano un teatro. Quella che l’amministrazione sta portando avanti con determinazione, e di cui va dato loro atto, è una operazione lodevole, ma a molti interrogativi va data una risposta e dei chiarimenti. Perché sarebbe un peccato sprecare l’opportunità di fare un progetto davvero utile e vivo per la città: anche perché questa decisione è davvero definitiva».
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Da osservatore ancora “esterno”, che non ha avuto ancora un’interlocuzione con l’Amministrazione a proposito, De Sanctis precisa: «Se una amministrazione decide di fare questo passo, deve rendersi conto di quello che c’è ed è necessario, fino nei particolari. Negli anni siamo stati interpellati tecnicamente, per sapere cose pratiche riguardo alla struttura. Anche in questo caso, tempo fa, abbiamo dato risposte come consulenti: ma ora sarebbe il momento di un coinvolgimento più ampio».
Ma quanto costa, di cosa ha bisogno e come vive il teatro a Varese? Abbiamo provato a chiederlo noi.
IL FUTURO DEI LAVORATORI
La principale preoccupazione di De Sanctis, innanzitutto: «E’ per chi lavora oggi in questo teatro: un gruppo di lavoro compatto e capace, fatto di personale che gestisce questa sala da 16 anni, e che quest’anno ha gestito quasi 50mila presente con circa 50 spettacoli».
E per voce loro ha deciso di esprimere «Una concreta preoccupazione sulla sorte di una decina di lavoratori che vorrebbe capire quale sarebbero le sorti di una professionalità poco spendibile altrove. Noi abbiamo maturato la competenza su questa provincia, con un lavoro continuativo e sereno che ha permesso, nel corso degli ultimi sei anni, di appendere due fiocchi rosa all’ingresso: il mio e quello di Vanessa, senza contare che qui un’altra nostra collega si è sposata, tra l’altro proprio nei locali del teatro. Se tutta questa serenità venisse a mancare sarebbe un problema, per tutti. Perchè un teatro è fatto di muri, ma soprattutto di persone. Lo sforzo di questo gruppo ha permesso a Varese di tornare ad avere i grandi interpreti della prosa come Orsini, Glauco Mauri, la Melato. Diede una casa a Dario Fo quando fu ostracizzato da Milano, ospita grandi concerti teatrali, che richiamano migliaia di persone. E infine sono orgoglioso del rapporto instaurato con Andrea Chiodi, acclamato regista emergente in tutta Italia che ha finalmente ritrovato la sua casa a casa sua. E’ un patrimonio importante, un gruppo di lavoro che conosca la realtà istituzionale industriale locale, che con loro gestisca e promuova convenzioni con i Cral, per esempio, e in generale degli utenti. Negli anni siamo riusciti anche a legare l’attività culturale e industriale, che è un patrimonio prezioso: sono diverse le aziende varesine che hanno “messo la propria faccia” per il teatro di Varese. Non hanno fatto pubblicità, si sono spesi con una partnership attiva. non è cosa da poco».
QUANTO COSTA IL TEATRO
Partiamo dai costi: «La sola gestione dell’Apollonio costa oltre 500mila euro all’anno – spiega De Sanctis – mentre l’acquisto degli spettacoli costa intorno agli 800-900 mila euro. Con una sala da 1200 posti i costi commerciali sono gestibili, perché permette di ospitare eventi che permettono guadagni che coprono le spese: i concerti, per esempio. Con 900 posti la questione diventa più difficile, o meglio costringe a delle scelte “politiche”. Un teatro da 900 posti per un’operatore commerciale che guadagnava tot con 1200 posti, sarà ugualmente appetibile? Sceglierà di guadagnare meno o alzerà il prezzo dei biglietti? E, in quest’ultimo caso, sarà una scelta sostenibile o a quel punto gli spettatori verranno a mancare?».
Domande ancora più stringenti nel caso della prosa: «In questa logica, quello che mi preoccupa di più è la stagione comunale di prosa: che di solito è quella che va più in perdita. Il bando che la lancia è un aiuto, ma non copre tutto: in altre città paragonabili sono molto piu ampi gli investimenti, ed è su questo che si deve ragionare. I costi saranno coperti da un maggiore impegno del comune? O saranno compensati da spettacoli più remunerativi? Si potranno fare?».
Domande concrete, per qualcuno magari fin troppo. Ma:«In fondo anche il teatro è una azienda, deve sostenersi economicamente: di più, è una azienda che ha pochi margini e grossissimi rischi. Sono abituato a descrivere uno spettacolo teatrale come uno Jogurt. Come lui, ha una vita cortissima: o funziona o lo butti, soprattutto a Varese dove si gioca tutto in un giorno».
CONSIGLI PER UN NUOVO TEATRO
Tra l’altro, il modo in cui il teatro verrà realizzato non è indifferente: «Ci sono mille particolari che incidono su fortemente su organizzazione e costi, e un teatro costruito senza pensare a quei particolari – magari facendosi abbagliare dalla bellezza che spesso non corrisponde all’utilità – è un teatro più pesante da gestire: per esempio, se per illuminarlo si mettono dei pannelli bellissimi con lampadine a 15 metri d’altezza, significa che ogni lampadina sostituita costerà al teatro almeno 500 euro».
«Un altro elemento che conta, per esempio, è quanti ingressi si prevedono nel progetto – Continua De Sanctis – Ogni ingresso prevede un lavoratore che sorveglia e controlla, e quelli sono costi in più per il teatro. Conta, inoltre, se abbia un’area per poter dare servizi accessori, o uno spazio per il bar interno, che dà ulteriori introiti sempre utili. Andando ancora più sul tecnico, ci si domanda quanti sono i camerini, e se sono strutturati come singoli o ci saranno degli stanzoni. In ogni caso ce ne devono essere a sufficienza per accogliere compagnie anche numerose, e a seconda di come saranno pensati sarà più o meno benvenuta, per esempio, la danza».
Anche la dimensione del palco, deve essere proporzionata: «E’ inutile ricavare molti posti se poi il palco è piccolo e consente poche cose. Infine, un altro particolare stupido che quasi nessun architetto azzecca mai, è il banco audio e luci. Di solito viene messo nel progetto in fondo e magari chiuso o coperto, invece il banco migliore è a centro sala e libero, perché il fonico invece ha bisogno di vedere e sentire quello che succede. Un banco audio a centro sala però, ruba spazio agli spettatori, che dietro non vedono. E quindi diventa importante contemperare le esigenze».
Non è quindi solo la gradevolezza che conta, per rendere appetibile anche a chi ci lavora il teatro. Per esempio, l’attuale teatro, universalmente considerato una bruttura, in questo mondo vanta anche importanti punti di forza: «Il nostro teatro attuale è famoso in Italia per essere perfetto per lo scarico: qui dei bilici da 12 metri (usati soprattutto per i concerti, ndr) entrano, scaricano, e via. Non è che in un altro teatro i concerti non si possano fare: ma se non c’è spazio, l’organizzazione ti chiede facchini, e quindi i costi per il teatro aumentano parecchio, visto che poi si tratta di ore e ore di lavoro, non di quattro casse. Di solito poi devono portar via i camion, mentre qui li possono lasciare dietro. Poi c’è spazio per accogliere gli attori con le autovetture, quando vengono a recitare. Tutti problemi che qui non si pongono neppure. Certo c’è una soluzione a tutto, ma poichè spesso le soluzioni costano, sono tutte cose da mettere sul piatto della bilancia per decidere».
Soprattutto in caso di un uso multidisciplinare della sala. Perchè: Se si vuole fare solo la stagione di prosa, il problema potrebbe non esserci: ma significa scegliere di finanziarla, e anche di scegliere magari di non investire in altro. E’ un ‘opzione: ma oggi non è dato sapere qual è l’intento, ed è questa la mia preoccupazione».
UNA NECESSITA’ NON RISOLTA: IL TEATRO “MEDIO”
«In realtà quando hanno circolato le prime voci sul Politeama, io ero convinto che se ne sarebbe fatto un teatro di taglio medio, che a Varese è totalmente mancante – ha sottolineato il direttore del teatro di Varese – Novcento posti cambiano poco, dal punto di vista organizzativo, rispetto ai 1200 coperti egregiamente dal teatro di piazza Repubblica. Molto utile, e necessario per la città, sarebbe invece una sala da 400-500 posti al massimo: quel teatro sarebbe pieno tutti i giorni, con le compagnie teatrali professionali e quelle dell’oratorio, le stagioni musicali e le mille iniziative che hanno bisogno di queste dimensioni. Molte sarebbero le manifestazioni che hanno bisogno di una sala da circa 450 posti, numero che non dico a caso, visto che sopra i 500 posti è necessario avere il presidio dei vigili del fuoco, che è un ulteriore costo. Io speravo quindi che il progetto sul Politeama fosse questo: una sala di taglio medio ben attrezzata, che crei un piccolo polo culturale per tutte le realtà che non hanno bisogno di una sala grande ma di tanto spazio. Il Santuccio è stato molto utilizzato per questo genere di cose, ma ha un limite enorme: manca totalmente di sale accessorie. Se facessero una sala piu piccola, ma con piu sale e tanti servizi diventerebbe un vero fiore all’occhiello».
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