Memoria e fratellanza, 2700 km in bici sulle tracce dei soldati italiani in Russia
Dalle pianure dell'Ucraina alle foreste, fino alla capitale russa, il "ciclista della memoria" Giovanni Bloisi ha ripercorso le vie della storia, messo in contatto persone, riportato in Italia le tracce dei dispersi
«Dieci soldati tornano a casa con me». Giovanni Bloisi è tornato in Italia da pochi giorni, dopo un mese di viaggio, venticinque giorni in bici, duemilasettecento chilometri pedalati: con lui ha portato dieci piastrini identificativi di soldati italiani, lastrine di metallo che riportano nomi, date di nascita, città di origine.
Sono le ultime tracce di fanti, artiglieri, alpini mandati dal fascismo a invadere l’Unione Sovietica, nel 1941-42. Storie che riemergono dal fango di un bosco, di una fossa comune, di una scarpata su Don: «So che uno dei soldati è di Napoli, altri nomi invece non si riescono a leggere bene, bisogna ripulirli con attenzione» racconta Bloisi, partito da Varano Borghi. Molte famiglie aspettarono per anni notizie dei loro cari, dispersi, di cui non si è saputo più niente. E anche oggi, ogni volta che un piastrino torna in Italia, è una storia che si chiude, una memoria che si trasmette (Leggi una storia varesina: Le piastrine perdute sul Don, un velatese nella guerra di Russia).
Il “ciclista della memoria”, come in altri casi, non ha solo ripercorso strade e luoghi della Storia, ma ha davvero trasmesso la memoria. «Partito da Kiev, ho toccato Belgorod, Nikolajewka, Rossosch, Valuiki, Nowa Kalitwa, Derezovka, poi Albuzovka dove mi sono fatto male al braccio dopo un giorno pedalando nel fango. E ancora Millerovo, poi in treno Voronez, anche se ho dovuto rinunciare a Volgograd, la vecchia Stalingrado. Di lì sono andato a Tambov, alla foresta di Rada, alla foresta Gagarinziviski». Infine l’arrivo a Mosca, con 240 chilometri in treno per evitare i rischi del vento siberiano. Non tanto per il freddo (8 gradi a inizio agosto) ma per le raffiche che rendevano precario l’equilibrio della bici caricata con 42 chili di bagagli.
«In Ucraina le strade sono piene di buche e di voragini, invece in Russia è pieno di avvallamenti che rischiano di farti cadere». Soprattutto nella zona a ridosso del fiume Don – ultima linea del fronte prima della ritirata – Bloisi ha percorso anche decine di chilometri su strade sterrate e fangose, in sella alla sua robusta bici Romeo (ciclista di Ispra sponsor tecnico del viaggio). Ha incontrato decine di abitanti del luogo: chi gli ha offerto da mangiare, chi è venuto a trovarlo la sera nel punto in cui ha piantato la tenda, chi l’ha accompagnato nei primi chilometri di ogni tappa, salutandolo poi all’inizio di un lungo rettilineo (nella foto che apre l’articolo).
L’emozione più grande a Nikolaewka, al sottopasso della ferrovia dove caddero decine di alpini, nella battaglia “per tornare a casa”. «Ho portato lì due gagliardetti degli Alpini, uno di Vergiate e uno di Conselice, provincia di Ravenn. Un alto luogo di grande emozione è stato Arbuzovka, la valle della morte dove fu massacrato il battaglione Torino: ci sono quattro case e 10mila soldati morti, un posto dove mi sono venuti davvero i brividia».
Il punto più affascinante? «A “quota pisello”, vicino a Nowo Kalitwa. Un paesaggio straordinario, un promontorio nella valle del Don. Lì’è solo un memoriale dei russi, ma lì c’era l’ultimo comando del tratto di fronte tenuto dagli alpini» (Leggi una storia varesina: L’alpino Angelo, da Bardello alle nevi di Russia).
In alcuni luoghi i memoriali ricordano le battaglie dal punto di vista sovietico, della “grande guerra patriottica” per respingere l’invasione nazifascista. In altri luoghi ci sono memoriali italiani, in altri anche monumenti in più lingue (tra le truppe dell’Asse c’erano anche ungheresi e rumeni, oltre ai tedeschi). «Per noi stravedono: tutti mi hanno detto: “la guerra è guerra, ma gli italiani si sono comportati da signori”».
Molto del percorso è stato programmato grazie alla collaborazione di Francesco Cusaro, dell’Unirr, ma anche grazie all’associazione “Forza Italia” («Associazione russa, niente legami con Berlusconi», sorride Bloisi). Lungo la strada il “ciclista della memoria” ha affrontato anche il confine tra Ucraina e Russia, oggi “caldo” a causa delle controversie su Crimea e Donbass: «Ho avuto solo difficoltà nel passaggio da una dogana minore, tipo Saltrio, dove i russi avevano stabilito il transito solo a piedi, dunque neppure per le bici. Ho allungato settanta km, neanche troppo».
Bloisi è stato protagonista anche di due servizi Tv e di un articolo di un giornale di Mosca.
«Questo doveva essere l’ultimo viaggio all’estero, volevo poi dedicarmi a un viaggio che toccasse tutti i luoghi delle stragi tedesche in Italia. Ma in Russia mi hanno detto che devo tornare assolutamente: mi hanno detto che con la mia bici ho creo legami tra gente, che le persone dei villaggi con me parlano, più che con loro (gli amici dell’associazione “Forza Italia”) che arrivano in auto con le targhe di Mosca e sono considerati dei cittadini».
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