Quindici anni senza Enzo
Enzo Baldoni è stato assassinato in Iraq il 26 agosto 2004, dopo un lungo rapimento, Il ricordo di Franco Gialdinelli, che ha gestito da Casale Litta il suo blog, nei drammatici momenti del suo rapimento
Oggi, 26 agosto 2019, è l’anniversario della morte di Enzo Baldoni, il giornalista freelance ucciso in Irak il 26 agosto del 2004, dopo un lungo rapimento. Quella morte colpi molte persone, ma fu ancora più vicina a Varese di quanto pensassimo: il blog “Bloghdad” che lui aggiornava riguardo la sua missione, durante tutto il suo rapimento era aggiornato da Casale Litta, dove allora viveva una coppia di suoi amici, e in particolare da Franco Gialdinelli, elbano trapiantato a Varese, cui Enzo aveva “affidato” le “chiavi” del sito in caso di difficoltà. Il gruppo di persone che aveva riunito on line, la Zonker Zone, non lo dimentica: queste le parole di Franco
Rimbalzano da Casale Litta ai media di tutta Italia le notizie su Baldoni
Il 26 agosto del 2004, quindici anni fa, Enzo Baldoni veniva ucciso in Iraq, dov’era andato per seguire la sua vecchia curiosità che già l’aveva portato in Messico, a Timor Est e in Colombia: capire perché, a un certo punto della propria vita, una persona scelga di imbracciare un’arma e andare a combattere per qualcosa o qualcuno.
Finì ucciso proprio da una di queste persone, uno di quelli che dalla Colombia, nei messaggi che ci scambiavamo allora fuori onda dal suo blog, chiamava scherzosamente “Guerri”.
Finì ucciso perché, come suol dirsi, un mucchio di cose andarono storte, mentre diverse altre avrebbero potuto essere messe per il verso giusto, ma non fu fatto.
Ma questa è un’altra storia.
Quello che posso dire è che quindici anni sono tanti, e che in tutto questo tempo sono state innumerevoli le volte in cui è successo qualcosa, e a me venisse automatico pensare:
“Chissà cose ne avrebbe detto o pensato Enzo?”.
Come spesso mi capita di pensare a come sarebbe stato lui oggi, adesso che io stesso ho da tempo superato l’età che lui aveva quando ci ha lasciati. E di pensare a che avrebbe detto di nostro figlio, quasi coetaneo di quel bambino che lo avrebbe reso nonno. E mi pare di sentirlo dire, a ogni scadenza di decennio d’età: “I sessant’anni (i settant’anni), sono una figata!” come già aveva detto dei cinquanta, e immagino anche dei decenni precedenti.
Succede così con le persone care e perdute. Tanto più se la persona in questione è stata una che nella mia vita, e in quella di tante altre persone, ha avuto un’influenza importante, quando non decisiva.
Ma il bello di Enzo è stato che ce n’era per tutti, di lui. “Sono vasto, contengo moltitudini”, amava dire citando Withman, ed era vero: ognuno di noi, suoi amici, ha avuto una parte di Enzo tutta per sé, e lui ha sempre fatto in modo che ognuno capisse che era una parte importante.
Certo, era una parte diversa per ciascuno, perché, fidatevi, nessuno, sottoscritto compreso, ha mai conosciuto e capito Enzo fino in fondo. Ma tutti noi siamo stati felici e orgogliosi di averlo incontrato, di aver avuto ognuno tutta per sé quella parte di Enzo. E tutti ci siano sentiti strappare via qualcosa quando l’abbiamo persa.
Che posso dire adesso, dopo quindici anni? Che forse fra i tanti insegnamenti di Enzo, per me uno dei più importanti è stato che non è il caso di prendersi sempre troppo sul serio, e in virtù di questo, e del fatto che mi piace pensare che nel suo ultimo viaggio Enzo possa essere arrivato dove mai nessuno prima, oggi lo saluto non con una citazione colta, ma con una da un film di fantascienza: “Del mio amico posso dire solo questo: di tutte le anime che ho incontrato, durante i miei lunghi viaggi, la sua è stata… la più umana”.
(James T. Kirk, Star Trek II – L’ira di Khan, 1982)
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