“Il teatro al Politeama ridarebbe valore al centro di Varese”
L'opinione, tecnica e urbanistica, del presidente dell'ordine degli architetti Elena Brusa Pasque "sul fare o non fare il teatro nel cinema Politeama"
Pubblichiamo integralmente l’intervento del presidente dell’ordine degli Architetti di Varese Elena Brusa Pasquè sulla decisione di fare il teatro nell’ex cinema Politeama: una opinione con alti contenuti tecnici, che parla del numero di persone possibili e del golfo mistico (buca d’orchestra o fossa d’orchestra in teatro), dell’opportunità di una nuova facciata e del senso che avrebbe all’interno del centro di Varese: insomma, molti degli argomenti toccati pro e contro il progetto.
Si è aperta in città un’ampia discussione sul fare o non fare il teatro nel cinema Politeama. Io faccio parte di chi crede che fare il teatro nell’ex cinema Politeama sia un’idea buona ma non voglio dimostrarlo solo con le parole, ma con le mappe visto che il linguaggio degli architetti è quello del disegno e del foglio di carta su cui misurare scrivere e verificare.
Riaprire un teatro è un tema complesso, ma ha funzionato anche a Gallarate dove l’antico teatro Condominio è stato restaurato e oggi si chiama teatro Gassman e funziona bene, così come altri piccoli teatri di provincia che hanno una loro vita attiva e sono popolati da giovani e anziani. Investire nella cultura è sempre importante così come fare della buona architettura.
Prendendo la mappa di Varese viene spontaneo osservare che il Politeama, affacciato su Piazza XX settembre è un luogo privilegiato dell’incontro con la città di Varese per chi proviene dall’autostrada, dalle stazioni e dalla Svizzera.
La mappa della zona: l’ex cinema Politeama è in arancioneSi trova a 200 m dal parcheggio delle stazioni, a 300 m dal parcheggio di piazza della Repubblica, a 200 m dalla stazione Nord e dalla Stazione delle Ferrovie dello Stato e nell’intorno della piazza esistono negozi e attività di ristorazione che rappresentano quei servizi necessari e accessori che danno vita al dopo teatro e al teatro stesso durante le prove.
Il teatro offre anche l’opportunità di trasformare un’area molto degradata che sta alle spalle del teatro dove esiste un percorso pubblico che dalla stazione delle Ferrovie dello Stato conduce al portico di Confartigianato e da lì porta in via Orrigoni.
È in questi interstizi da retro bottega e da queste “porosità”, per citare l’Arch. urbanista Bernardo Secchi, che la città prende forma e si trasforma. La città contemporanea deve essere costruita diffondendo i centri pulsanti della sua vita e non attraverso una concentrazione di funzioni in un solo punto, come potrebbe invece accadere se una piazza diventasse un attrattore per troppe funzioni e servizi.
Oltre tutto il Cinema Politeama c’è, ed esiste dal 1964, dopo l’incendio del precedente cinema attorno al 1962. Un edificio ben fatto e con una facciata molto particolare e degna di essere conservata. Quindi è da sempre stato un luogo dello spettacolo e da 10 anni è il luogo dell’abbandono e della desolazione.
La vocazione dell’area è quella che si vede. Non si deve costruire un teatro con 1000 – 800 o 600 posti: non siamo noi a definire il numero dei posti, ma sarà lo studio di chi progetterà l’architettura e di chi dovrà occuparsi dell’acustica.
Meglio un teatro piccolo con un’acustica perfetta che uno grande dove occorre mettere la diffusione sonora e i microfoni e si perde così il gusto del parlato. Meglio un teatro di 600 posti pieno che uno da 1000 posti semivuoto, meglio una replica con il teatro in over booking.
Qui nell’attuale retro schermo del cinema potrebbe essere costruito il “golfo mistico”, la buca dell’orchestra, e potrebbe ampliarsi una parte del palcoscenico realizzando la torre scenica. Da qui si possono realizzare gli ingressi di servizio perché le aree sono di proprietà del comune, ed entrare da Via Orrigoni per il carico scarico delle scenografie unendo nel progetto la proprietà del Comune ormai svuotata dalla sua funzione di assessorato ai servizi sociali.
Se si vuole innovare occorre avere coraggio e abbracciare una visione e ricordarsi che la nostra architettura è frutto di sedimentazioni e la bellezza dell’Italia nasce dalla sua stratificazione per parti e in tempi diversi. Ne ho parlato anche con i miei colleghi e siamo tutti d’accordo però che occorre fare attenzione all’idea di mettere il legno sulla facciata.
Gli edifici di City Life a Milano progettati da grandi architetti internazionali come Zaha Hadid mostrano che le parti in legno, dopo pochissimi anni, si sono ossidate, deteriorate e ingrigite in modo non omogeneo e offrono un aspetto desolante perché sono invecchiate in fretta e andrebbero già sostituite.
Varese non è il Trentino e non è la Svezia e qui piove spesso e il clima è umido. L’uso del legno pur essendo un materiale straordinario e meraviglioso deve essere invece ben valutato se applicato all’esterno nel nostro piovoso territorio.
Forse si potrebbe pensare di lasciare la facciata esistente policroma, dignitosa e memoria di un periodo storico in cui rari erano gli esempi da conservare: ha già un suo fascino e una sua bellezza con gli inserti policromi e che, con i suoi materiali di qualità, ha resistito sessant’anni senza degrado e poi già limita la strada, senza margini, e fa parte di un contesto urbano già molto compromesso.
Occorre dunque fare attenzione al genius loci, all’uso dei materiali e delle tradizioni locali visto che abbiamo già un centro città con architetture dissonanti e a volte davvero stonate a partire dalla non facciata dell’attuale teatro Openjobmetis che è piú una “palestra per attori” che un teatro vero e proprio. E in questa diversità ben calibrata e studiata da un eccellente progettista, quale speriamo possa essere l’architetto Michele De Lucchi, che si può far nascere una architettura di qualità, quella che prende vita da chi sa tenere la penna in mano e che sa disegnare e curare i dettagli avendo piena consapevolezza della materia da modellare.
Elena Brusa Pasqué
Presidente Ordine Architetti Varese
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