Il “Clawn” Pimpa in missione per portare il sorriso tra le macerie della guerra
Come ogni estate, Marco Rodari sta visitando diversi luoghi tra Siria e Gaza martoriati dalla guerra. Il racconto di una missione tra rabbia, dolore e sorrisi
Viaggia con la valigia piena di sorrisi. Sceglie i luoghi più difficili per cercare bambini a cui restituire attimi di felicità.
La missione di Marco Rodari, in arte Clawn Pimpa, è ormai nota: ogni estate torna nei luoghi del Medio Oriente e sceglie quelli più martoriati, dove la vita quotidiana logora anche i caratteri più tenaci. E lui cerca i visi di chi è più fragile, nell’infanzia che non ha conosciuto ancora cosa significhi la quiete di una vita in pace.
Marco, è trascorso un altro anno e ti ritroviamo in questi giorni a Gaza, quotidianamente bombardata, ma questo non fa notizia da un pezzo: come ti ha accolto la città?
Un migliaio di bimbi in festa con il pagliaccio, questa è stata l’accoglienza che mi ha riservato Gaza.
C’era grande voglia di rincontrare il clown, tanto, che appena sono arrivato, non sono riuscito neanche ad appoggiare i bagagli perché sono dovuto correre subito dai miei amici clown-gazawi per unirmi a loro e ad un bellissimo evento (Friday of joy) che avviene qui in Gaza tutti i venerdì. E per le mie prime due ore nella Striscia non abbiamo che pensato ad altro che alla “Joya”.
Parlando di Gaza ci dicevi che non erano arrivati ancora i “soldi grossi” per poter ricostruire intere città, oggi sono arrivati?
Dal punto di vista abitativo la situazione è un po’ migliorata, ma non è assolutamente risolta. Alcune case sono state riparate, altre ricostruite ed ho appena terminato uno spettacolo in un quartiere costruito ex-novo nella zona di Kaniunis che potrà ospitare parecchie famiglie.
Ma per la maggioranza della popolazione che ha perso l’abitazione durante la passata guerra, non è arrivato nulla e non gli resta che vivere in baracche.
Cominciamo dal principio, da maestro e professore di Leggiuno a clown: come è avvenuto?
Si cambia tanto, ovviamente crescendo, ma se mi guardo indietro, al di là dei titoli (professore, maestro, educatore, clown) non riesco a definire una metamorfosi. La costante sono i Bimbi, lo stare con loro, sicuramente divertendomi, possibilmente divertendoli. Poi è davvero una delle poche cose che mi riesce.
Continui a fare spettacoli anche in Italia. Anzi, in un anno fai ridere più bambini italiani che non, giusto? È stato così anche in questi mesi del 2019?
Purtroppo la sofferenza non ha confini. Tocca i Bimbi della guerra come quelli in pace, tocca i Bimbi poveri come quelli ricchi. E il clown non si può che dare da fare per alleviare la sofferenza che quotidianamente gli capita di incontrare.
Girandoti indietro, cosa ti hanno lasciato le macerie e i bambini della guerra in questi anni?
Assapori sino all’ultima goccia delle gioie del quotidiano per tenere a bada la rabbia, il dolore che ti si è comunque radicato dentro e che potrebbe esplodere da un momento all’altro.
Prima di andare a Gaza hai visitato Aleppo e Homs. Come sta la Siria secondo te?
Il clown ha potuto davvero lavorare tanto quest’anno in Siria, nel giro di un mese ho incontrato tantissimi Bimbi in più di 100 spettacoli o momenti di incontro che dir si voglia. E solitamente più riesce a lavorare il clown, più la situazione in termini quantomeno di sicurezza per i Bimbi vuol dire che è migliorata.
Ad Homs non eri mai stato, come hai trovato la città?
Il primo impatto con Homs arrivando sulla grande strada che la attraversa è quello di pensare di essere arrivati in una vecchia città abbandonata del Far West, mancava solo il classico cespuglio che rotolava al vento.
Poi, vivendoci, riscopri nuovamente come le macerie possano sapere comunque di casa. E quanto è straordinario vedere tanta gente che si raduna per assistere allo spettacolo, mettendo il vestito “bello” ai bimbi, cercando di trovare il luogo più accogliente (operazione molto difficile ad Homs, visto che praticamente tutte le abitazioni sono state colpite dalla guerra) e ritornando a vivere.
Quando mi si dice alla fine di uno spettacolo, erano 7 anni che non ci si ritrovava tutti assieme per un momento di festa, questo, nell’immediato, ad adrenalina ancora altissima, mi riempie di gioia, ma appena si spengono “le luci della ribalta”, fa emergere tutta la rabbia e il dolore della guerra.
Quindi è sempre buona cosa tenere un po’ di quella gioia nella tasca del pagliaccio per poter combattere tutto questo.
Nella passata intervista ci avevi detto che il tuo proposito per il 2019 consisteva nel raggiungere nuovi luoghi, perché avrebbe significato che molte guerre erano finite. È stato così? Hai già previsto nuove mete?
Aver girato buona parte della Siria è già una buona cosa. Mi piacerebbe poterla girare tutta tutta.
E tra tutte le guerre in corso, c’è un conflitto che ti fa particolarmente male?
Tutte le guerre, alla radice, si somigliano e tutte mi fanno particolarmente male.
C’è una storia che ti porti dietro da queste settimane estive?
Sicuramente la gioia di Mohammed. Avere il cancro ad Aleppo di questi tempi è davvero l’apoteosi della “sfiga”. Eppure lui non vedeva l’ora che il pagliaccio arrivasse per potermi rubare cappellino e naso e potersi esibire per gli altri Bimbi.
E noi non si poteva che restare meravigliati a guardare!
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