Agnese Moro e l’assassinio di suo padre: “Oggi ho capito che il male non è per sempre”
Folla all'incontro, organizzato dall'associazione Sulle Ali, con Agnese Moro e Giovanni Scianna per raccontare gli "intrecci della vita"
Ci sono storie che si intrecciano. Nel male o nel bene. E ci sono vite che si scontrano per poi ritrovarsi perché solo con l’incontro raggiungono un equilibrio.
Ed è questa la storia che ieri sera, venerdì 4 ottobre, è stata raccontata al centro congressi De Filippi di Varese. Ospiti dell’associazione Sulle Ali e del suo presidente Giovanni Verga, lo scrittore Giorgio Scianna che ha dedicato un libro a un pentito della lotta armata, una diciottenne che esce dal carcere dopo aver collaborato con la giustizia, e Agnese Moro, figlia dello statista ucciso dalle Brigate Rosse, che si è raccontata, narrando l’intreccio della sua vita sconvolta dal rapimento, dai 55 giorni di prigionia finiti con l’esecuzione di suo padre nel maggio del 1978.
Una vita rimasta cristallizzata come in “una goccia di ambra”, come lei stessa ha raccontato, finché ha avuto modo di incontrare gli autori di tanto feroce e sordo dolore. Da quella serie di incontri, avvenuti grazie a Don Guido Bertagna, dal confronto prima doloroso e arrabbiato e poi via via più intimo e condiviso, è riuscita a dare un senso alla sua dimensione di figlia privata del padre.
Un’ora intensa, davanti a un pubblico che in silenzio ha seguito con partecipazione, è durato il suo racconto oggi lucido ed empatico: « Ci sono varie necessità che si aprono davanti a te quando ti si abbatte una catastrofe come quella che ha colpito me e la mia famiglia. Hai bisogno innanzitutto di capire il perché. Poi devi riuscire a non farti cancellare l’esistenza della persona uccisa, recuperando il vissuto intenso, superando la tragicità dell’evento criminoso».
Un percorso di recupero della propria vita di figlia che Agnese ha raccontato con serenità anche nei momenti tragici come quando i giudici convocarono lei e il fratello e, a distanza di dodici anni dall’uccisione, diedero loro le lettere che il padre aveva scritto durante i giorni di prigionia: « La lettura di quei pensieri è stato un momento di recupero della mia vita. Ho ritrovato l’umanità e la quotidianità di mio padre che si rivolgeva a me con messaggi volutamente normali e densi di serenità. Come il saluto finale: “tanti auguri e tanta speranza”».
Aldo Moro fu vittima di un’era e di un mondo politico con cui Agnese Moro, e la sua famiglia, non ha fatto pace. Sollecitata dal sindaco di Varese Davide Galimberti, Agnese ha dichiarato che suo padre, nella lettera scritta la fratello, si lasciò andare a un pensiero amaro e deluso su quello che era stato il suo impegno convinto e appassionato nella vita politica del paese.
Un atteggiamento di chiusura che rimane verso quello che fu il mondo politico, da non confondere con il rispetto per lo Stato che continua a essere, invece, un punto di riferimento, alimentato da migliaia di figure che ogni giorno si impegnano per la collettività: « Solo alla fine del mio percorso di confronto con quelle persone che io odiavo ciecamente, ho capito il senso della giustizia ma soprattutto ho compreso che il male non è onnipotente e non è per sempre».
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