Il legale dei Macchi: “Sentenza che lascia sbalorditi e sconcertati“
Secondo Daniele Pizzi i giudici hanno “sbagliato ad aver criticato l’operato dei poliziotti e dei magistrati che si sono occupati sinora della morte di Lidia“
Indagini fatte male, con indizi assurti a “prove dichiarative per lo più esauritesi in pochi e insignificanti fatti concreti e moltissime personali congetture, talune anche di astratto buonsenso”, ma che sempre congetture rimangono. Fa discutere la sentenza dei giudici d’Appello di Milano inferito all’assoluzione di Stefano Binda dall’ergastolo inflittogli dai giudici di Varese in primo grado per l’omicidio di Lidia Macchi.
A criticare le argomentazioni dei giudici Milanesi è l’avvocato di parte civile, il legale della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, che parla di «una sentenza che lascia totalmente sbalorditi e sconcertati, ma non per il fatto di aver assolto Stefano Binda (e lo sottolineo a caratteri cubitali). Ciò che, di questa sentenza, ha infatti stupito più di ogni altra cosa è l’aver criticato, con un’efferatezza davvero inimmaginabile ed inaccettabile, l’operato dei poliziotti e dei magistrati che si sono occupati sinora della morte di Lidia».
«Con il senno di poi è davvero troppo facile e semplicistico definire “inutili” operazioni come quelle attuate dalla Dott.ssa Manfredda per ricercare l’arma del delitto sulla collina del Sass Pinì piuttosto che al parco Mantegazza: tutti eravamo consapevoli delle difficoltà di una simile impresa, ma era giusto e doveroso che nulla rimanesse intentato».
Secondi Pizzi poi, «se non fosse stato per la tenacia della dottoressa Gualdi (Gemma Gualdi, il procuratore generale che rappresentava la pubblica accusa ndr) che ha fatto qualsiasi cosa affinché non rimanesse inesplorato un solo angolo delle medicine legali del nostro paese, ad oggi parti del corpo di Lidia giacerebbero ancora impolverate in un armadio».
«Ha, inoltre, fatto davvero molto male leggere le parole che questa sentenza ha riservato ai poliziotti della squadra mobile e al comandante della polizia locale: si tratta di validissimi investigatori che hanno dedicato un impegno e una professionalità davvero encomiabili a questo caso: a loro la famiglia di Lidia è e sarà per sempre grata. Per non parlare della gravità delle parole riservate al sottoscritto, che mai mi sarei immaginato di leggere all’interno di una sentenza: evidentemente il fatto di aver ricusato la Corte è stato un colpo accusato in maniera molto forte dai giudici d’Appello, ma – fosse anche quella la ragione – determinate affermazioni non sarebbero mai dovute entrare in una sentenza».
«Quando ricusammo la Corte, lo facemmo poiché l’andamento del processo di appello ci era apparso estremamente chiaro sin dalla prima udienza, oltre che perché ritenevano alquanto sbrigativo liquidare – in sole tre udienze nell’arco di soli dieci giorni – anni e anni di indagini oltre a venti udienze di dibattimento di primo grado. Detto questo, la famiglia Macchi sarà sempre al fianco delle persone perbene che hanno profuso, e ancora profonderanno, ogni sforzo ed energia per giungere a Giustizia e Verità sulla morte di Lidia», conclude l’avvocato Daniele Pizzi.
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