Confartigianato, Galli: “Salviamo la plastica made in Italy”

Il presidente di Confartigianato Varese, si schiera senza mezzi termini a sostegno di un settore che nella sola provincia di Varese conta quasi 500 imprese

posate plastica

«Salvare la plastica made in Italy – trasformandola in modi e tempi adeguati – dall’attacco della Plastic Tax». Davide Galli, presidente di Confartigianato Varese, si schiera senza mezzi termini a sostegno di un settore che nella sola provincia di Varese conta quasi 500 imprese (il 6% circa delle aziende manifatturiere presenti sul territorio), dà lavoro a poco meno di diecimila persone e rappresenta il 12% dell’export nazionale del comparto.

«Sulla base delle bozze diffuse sull’applicazione della Plastic Tax abbiamo cercato di capire quali prodotti sarebbe andata a colpire, e come, e ci siamo resi conto che, qualora non vengano introdotte modifiche – come qualche esponente di Governo ha affermato in queste ore – l’impatto sarà molto rilevante, sia ai danni dei consumatori sia delle aziende della filiera». Un colpo assestato al cuore di una componente strategica della nostra economia senza che venga davvero estirpato il male della non sostenibilità ambientale e con il rischio di favorire l’apertura del mercato della plastica a competitor stranieri, favoriti dalla mancata tassazione e, dunque, da prezzi al consumo più contenuti. «Sappiamo – prosegue Galli – che è necessario adottare uno stile di vita più sostenibile e vogliamo che tale obiettivo venga perseguito anche dalle imprese ma la tassa non è lo strumento idoneo a tradurre il cambiamento culturale nella pratica  quotidiana».

A chiarire tecnicamente le criticità è Davide Baldi, esperto del settore Ambiente di Confartigianato Varese, secondo il quale è necessario sfatare qualche fake news: «La bottiglia di plastica, in sé, non è “il” problema, tanto più che è riciclabile nell’ambito di una filiera molto ben sviluppata, frutto di campagne sul riciclo che in Italia sono partite nel 1997, con il primo decreto Ronchi. “Il problema”, piuttosto, si chiama abbandono ed è un male curabile con campagne informative impattanti da rivolgere in particolare a quei Paesi dove la plastica monouso ha risolto il dramma sanitario dell’assenza di acqua potabile ma ha prodotto numerosi “abusi”».

Tra l’altro, sempre secondo Baldi, «non è detto che le alternative alla plastica, oggi, siano in grado di risolvere il problema ambientale». Cerchiamo di spiegare il perché. Oggi, i surrogati alla bottiglietta sono le bioplastiche, le “borracce” (contenitori in acciaio o vetro) e la cellulosa. La bioplastica non ha impatto zero: ha vantaggi dal punto di vista dell’impatto ambientale, poiché impiega da uno a quattro anni a decadere contro i 100 della plastica «ma deriva dal cibo, tipicamente mais e canna da zucchero, e bisogna chiedersi se non si rischi di stressare eccessivamente l’agricoltura, e quindi l’ambiente, nel tentativo di produrne a sufficienza per sostituire integralmente l’altra». Mais geneticamente modificato e abusi agricoli possono generare, infatti, un danno ambientale serio, a svantaggio della tanto decantata biodiversità.

La bottiglietta d’acciaio, come la plastica, deriva invece da una risorsa finita (fossile) non rinnovabile e ha un ciclo produttivo che inquina al pari di quello della plastica. La differenza è solo il costo. Poiché questo oggetto lo si paga di più, si finisce per non buttarlo con analoga facilità. A questa stregua, basterebbe “riusare” la bottiglia di plastica per ottenere il medesimo risultato.

Capitolo cellulosa: l’impatto ambientale di una azienda produttrice di carta è elevato senza contare che, poiché la produzione in Italia è stata abbandonata in seguito alla crisi, per soddisfare i bisogni del mercato bisognerebbe attingere a piene mani dall’importazione, con impiego di combustibile fossile per i trasporti tale da generare un bilancio energetico equivalente a quello dei piatti di plastica.

«Ecco perché – tira le somme l’esperto di Confartigianato Varese – è fondamentale basare le scelte ambientali su rigorosi bilanci energetici e non sulle reazioni emotive alle immagini dei disastri ambientali. Altrimenti si finisce per spostare il danno altrove, senza azzerarlo». Una cosa già accaduta ai tempi della lotta all’ozono, condotta attraverso i cosiddetti gas ecologici. «Il risultato di quelle scelte è la diffusione della Co2, che noi stessi contribuiamo ad alimentare con la diffusione dei climatizzatori, di cui nessuno è più disposto a fare a meno».

Il cuore del problema è dunque come affrontare con coscienza il problema dell’abbandono della plastica monouso senza spostare arbitrariamente i consumi e soffocare un settore per il quale l’Italia, con le sue cinquemila imprese, è tra i maggiori produttori al mondo. No al manicheismo, dicono da Confartigianato Varese, specie se non supportato da interventi finalizzati alla riconversione della filiera della plastica: «Colpire i consumi, senza favorire un aggiornamento del comparto industriale che sta a valle della diffusione della plastica, significa penalizzare in modo particolare le piccole e medie imprese che faticano ad avviare in tempi rapidi – e a sostenere economicamente – processi di riconversione e innovazione della produzione».

Errore strategico: così il presidente di Confartigianato Imprese Varese definisce l’avvio di una guerra condotta in assenza di un piano di riconversione produttiva da sostenere con risorse economiche reali, così come si sta al contrario pensando di fare in Germania, dove il Governo si prepara a programmare la cifra-monstre di 100 miliardi di euro. L’ambiente ha bisogno di sinergie e, soprattutto, di strategie, di una vera visione ecologica e di una concreta svolta culturale finalizzata a migliorare il consumo, non a spostarlo altrove.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Novembre 2019
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