Takashi Paolo Nagai: una vita tra la medicina, la bomba atomica e la fede cristiana
La medicina, l'incontro con la fede cristiana e al conversione dopo il ritorno dalla guerra di Manciuria. "L'uomo nuovo", Takashi Paolo Nagai, superstite della bomba atomica che ha aiutato gli altri fino alla fine dei suoi giorni
Un uomo “in odore di santità”, una vita spesa per la ricerca medica, la fede cristiana e l’aiuto del prossimo dopo gli episodi delle bombe atomiche che sconvolsero il Giappone nell’estate del 1945, costringendolo alla resa.
Takashi Paolo Nagai era questo e molto altro: ne ha parlato nel circuito di Duemilalibri a Gallarate l’ematologa Paola Marenco presentando la vita del medico radiologo attraverso tre opere in un incontro organizzato dal centro culturale “Tommaso Moro” (Pace su Nagasaki di Paul Glynn, Paolo Takashi Nagai: annuncio da Nagasaki, I figli di Nagasaki Il testamento spirituale di un sopravvissuto alla bomba atomica, di Paolo Nagai), dopo aver curato una mostra sul medico allo scorso meeting di Rimini.
«Organizzare una mostra della sua vita era un po’ come se ciascuno, vedendola, percorresse la sua», ha spiegato la dottoressa. Takashi Nagai nasce nel 1908 a Matsue, nel Giappone del Sud, sede di uno dei più importanti santuari scintoisti, da una famiglia discendente dai samurai. Figlio di medico e studente brillante, ha frequentato l’università di medicina a Nagasaki, in pieno clima positivista e di piena fiducia nella scienza e nella tecnica: «Nagai, infatti, nei suoi taccuini in quegli anni scriveva di non riuscire a percepire i corpi umani se non come un ammasso di materia, senza scorgervi all’interno l’anima».
Il crollo della sua “fiducia materialista”, però, arriva quando è ancora studente, nel 1930, al capezzale della madre: «L’ultimo sguardo penetrante della madre ha demolito tutto il suo assetto ideologico», racconta Paola Marenco, «ed è stato lì che ha capito che l’animo umano è immortale». Già dal ritorno del funerale, qualcosa dentro di lui si è mosso: porta con sé i Pensieri di Blaise Pascal, che legge inesorabilmente; inoltre, in corsia, con i pazienti, si comporta in modo diverso dai suoi compagni di corso.
Il secondo momento fatidico per la conversione al cristianesimo è l’incontro con la famiglia cristiana Moriyama, di Urakami, che lo accoglie mentre cerca un alloggio. Lì conosce Midori, che in futuro diventerà sua sposa. Gli Uragani erano tra gli ultimi superstiti delle persecuzioni (“Cristiani dei boschi“, si erano nascosti nelle montagne e nei boschi praticando il culto cristiano pur senza preti dalla seconda metà dell’Ottocento, fino a quando non è stato concesso loro di tornare). Nel 1932 Nagai si laurea in medicina ma si ammala di meningite, perdendo l’udito da un orecchio: non potendo più intraprendere la carriera da medico, diventa radiologo e ricercatore.
«Proprio in quell’anno, la notte di Natale, partecipa insieme alla famiglia Moriyama alla messa e, stupito, sente di aver vicino qualcuno che ancora non conosceva». Nel 1933 si arruola per la prima guerra di Manciuria, e, una volta tornato si fa battezzare, prendendo il nome di Paolo. Nel 1937 si arruola nuovamente per la seconda guerra di Manciuria, ma «è già un uomo nuovo»: fa l’ambulatorio sia per i giapponesi ed i cinesi, il suo comportamento generale è profondamente mutato grazie alla conversione.
Negli anni Quaranta diventa professore universitario e professa ai suoi studenti il pacifismo, andando contro le ragioni di una nuova guerra. Ma, con l’entrata del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, le cose cambiano radicalmente: si ammala di leucemia e, l’8 agosto 1945, sopravvive per miracolo alla bomba atomica sganciata su Nagasaki perché chiuso in laboratorio per il turno di notte. La moglie, invece, muore; i figli, invece, erano stati inviati dalla suocera sulle montagne. «Nonostante il lutto, Nagai non si perde d’animo e, raggiungendo i figli e la suocera in montagna, mette immediatamente in piedi un campo d’aiuto per i sopravvissuti». Il medico interpreta, poi, l’episodio della bomba atomica come il sacrificio di Urakami necessario a far finire la guerra.
Tornato quindi ad Urakami, dove resterà dall’autunno del 1945 fino al 1951 (l’anno della sua morte), ricostruisce una piccola casa e, rimasto paralitico, trascorre le sue giornate a scrivere, pregare e ad accogliere moltissima gente che veniva a trovarlo da ogni parte del paese. «Era diventato il mistico della pace: aveva dimostrato, con il suo esempio, che tramite un lavoro molto profondo su sé stessi si poteva vincere l’egoismo»: in una situazione così tragica per lui, ormai in fin di vita, continuava a mettere gli altri al primo posto. «Aveva raggiunto uno stato così certo di sé da riuscire a confortare gli altri dai loro dolori».
Una figura emblematica, dunque, al servizio del prossimo e della Chiesa cristiana, che ha attraversato una delle tragedie più sconvolgenti del Novecento e «che Papa Francesco, nel suo viaggio in Asia nei giorni scorsi, ha ricordato con ammirazione».
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