Dopo 120 anni chiude il macellaio: «Non trovo nessuno che voglia continuare»
Daniele Andreoli è un’istituzione a Caldana perché da generazioni manda avanti la storica attività, che chiude a fine anno
Lunedì è stata una giornata epocale per Caldana: era l’ultima volta che Daniele Andreoli macellava una bestia, un vitellone garonese coperto di riccioli marroni e tirato su con l’erba di Orino, a meno di due chilometri dal bancone dove la prossima settimana i clienti arriveranno per fare rifornimenti fra Natale e Capodanno.
Poi la serranda della macelleria Andreoli chiuderà i battenti per sempre. Non perché i clienti manchino: al mattino, sotto la pioggia e al freddo si fatica a trovare posto per parcheggiare l’auto: sì, siamo a Caldana, frazione di poche centinaia di abitanti a Cocquio Trevisago, ma l’assenza di parcheggi indica un dato importante che si percepisce già prima di varcare la soglia: qui a comprare la carne vengono da lontano.
Dopo i convenevoli c’è un capannello di signore che all’idea della chiusura rilancia subito l’ipotesi della raccolta firme: «No Daniele, non è possibile, non devi chiudere», dice una signora che arriva da Besozzo, sostenuta da un’altra appena arrivata da Castello Cabiaglio e da una affezionata dai capelli biondi di Azzio.
«Cosa vuole che le dica: sta cominciando a pesarmi il lavoro, ho 65 anni, e sto dietro al bancone da quando ne avevo 15».
Vuol dire cinquant’anni di professione, ogni santo giorno fra casa e bottega, che poi sono la stessa cosa: qui nel 1900 i suoi avi aprirono la macelleria, col nonno Bugianin così soprannominato per i frequenti viaggi in Piemonte, e poi via di generazione in generazione, con nonno Daniele che aprì anche l’osteria proprio di fianco al negozio dove oggi si fa la spesa: il cliente arrivava, e poteva decidere se cuocersi le salamelle a casa o farsi preparare la bistecca sul posto e consumarla con un bicchiere di vino.
«Altri tempi, che però anticiparono le mode di questi anni, dove questa formula piace», spiega Daniele mentre serve quattro sontuose bistecche di scamone a un’anziana del paese. Gli altri avventori di Caldana sono l’Angelo, che arriva verso il bancone del pane e si prende da solo il sacchetto del pane, e il Valentino, 83 anni primo dipendente della Ignis di Borghi, anche lui vive in paese ed è preoccupato per la chiusura: «Non guido, non saprei davvero dove andare a fare la spesa».
C’è la cliente che si è appena trasferita nella graziosa frazione e parla di questa macelleria come del vero centro culturale di Caldana. Proprio così, culturale: qui si fa tradizione, si raccontano storie e, soprattutto, vengono custoditi i patrimoni della tradizione di famiglia che sono le ricette per bresaola, carne salata e per la mortadella di fegato cotta nel vin brulè.
Che fine farà tutto questo? Scriverà un libro, Daniele? «Non lo so. Diciamo che non ho trovato chi avesse voglia di prendere in mano il testimone. Sì c’era un ragazzo di bottega che è venuto per qualche tempo. Certo, poi l’interessamento di qualche soggetto che però non voleva impegnarsi fino in fondo: “Rilevo io l’attività per un anno, poi vediamo“. Eh no, gli ho detto, piuttosto chiudo».
Il punto è che il macellaio non è un lavoro facile. «Per niente: devi saper ammazzare e tagliare, non devi avere paura del sangue, delle feci e delle lame. Ma soprattutto ci vuole amore incondizionato per il lavoro, che comporta sacrifici, fatica e un pizzico di rischio per un’attività tua. Meglio prendere uno stipendio sicuro alla fine del mese, quando c’è».
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