“Ecco perché è meglio che i doni li porti Gesù Bambino”
La pedagogista Chiara Campiotti spiega perché, a pare suo, sia preferibile raccontare ai nostri figli la storia della Natività piuttosto che parlare di Babbo Natale
Le considerazioni che seguono sono rivolte a chi racconta ai propri bambini che la notte del 24 dicembre è Babbo Natale a scendere dal camino o a entrare dalla finestra e portare i doni di Natale.
La mia riflessione propone ai genitori, alle famiglie, l’idea che, anche per chi educa laicamente i propri figli, sia molto più bella e più significativa la proposta Gesù Bambino: è lui che entra in casa nostra.
Se parleremo di Gesù Bambino potremo anche raccontare la storia della sua nascita.
Ora non parlerò “male” di Babbo Natale, ma bene di Gesù Bambino.
Primo: Gesù Bambino è un bambino. Questo permette ai bambini di sentirlo vicino, di identificarsi con lui.
Secondo: Gesù Bambino è un re, è importante, e allora anche loro, i bambini, possono essere importanti; forse prima di nascere sono stati annunciati, sono stati voluti, amati e riconosciuti. In un tempo di disinteresse verso l’infanzia che sfiora anche l’abbandono istituzionale questo può essere un bel rinforzo.
Terzo: il contesto. E’ bellissimo fare riferimento all’ambiente del presepio, così come è raccontato nel vangelo di Luca che, ripeto, anche se non viene letto con una chiave rivolta alla fede, comunque regala laicamente ai nostri bambini una narrazione confortante, una fiaba altamente poetica. Il contesto descritto è completo dal punto di vista esistenziale. Analizziamo distintamente e osserviamo come in questo quadro di natura meravigliosa ci sia tutto: la notte e la luce, le stelle, gli uomini, gli animali, le opere dell’uomo (il decreto di Augusto, la mangiatoia…), il principio di realtà (il dovere di ottemperare al censimento, la mancanza del posto nell’albergo, il compimento dei giorni del parto, il dovere di fare la guardia al gregge…).
Ci sono poi due sentimenti primari, molto vicini ai bambini, quello dello spavento e della paura e quello della gioia.
Quarto: l’uguaglianza tra gli uomini. Al presepio ci sono tutti, anzi i due estremi dei tutti: i più poveri e ignoranti come i pastori e i più ricchi e colti come i Magi, i vicini e i lontani.
Quinto: il dono. Nella storia ci sono tanti doni: il canto degli angeli, il bambino che nasce, la stella per i Magi, l’oro, l’incenso e la mirra. Nella tradizione poi ci sono anche i doni che portano i pastori. E allora: “Bambino mio, ecco perché a Natale Gesù Bambino ti porta i regali: è bello ricevere e è bello anche donare”. E se fosse il caso, possiamo aggiungere che in quel giorno anche i grandi si scambiano i doni tra di loro.
Sesto: gli angeli. C’è un richiamo alla spiritualità e questo potrebbe costituire la sottolineatura più discutibile in una visione laica della vita. Consideriamo però che oggi per far fronte al rumore e alla confusione imperversante si propongono già nelle scuole statali, lo yoga, gli haiku, la spiritualità degli indiani d’America…Nelle fiabe che raccontiamo ai bambini è presente il desiderio di una mano buona che si possa stringere e che dia coraggio (“l’aiutante del protagonista” lo definisce Propp), c’è la ricerca di un’ illuminazione e c’è la speranza in qualcosa di più sottile e di totalmente altro (ad esempio le fate…).
Oltretutto a livello di analisi storica dei sistemi educativi molto frequentemente il bambino è considerato portatore di un’istanza spirituale e le narrazioni che noi adulti facciamo per loro devono rispondere anche a questa domanda.
Settimo: il cammino e la veglia. Ci sono Giuseppe e Maria che partono per Betlemme, i pastori che vanno senza indugio, i Magi che giungono dall’Oriente affrontando un lungo viaggio. Accanto al cammino c’è il suo contrario, cioè la contemplazione: i pastori che vegliano, Maria che medita in cuor suo, i Magi che adorano. In poche parole sono descritti due atteggiamenti che sono banalmente indispensabili per una vita equilibrata. Per i bambini è un messaggio chiaro e
rassicurante.
Questa è la mia riflessione, naturalmente non sarà tutto e non sarà subito, ma il tempo e il ripetersi del racconto, come ci ha insegnato Bettelheim, concorreranno, insieme alle altre nostre scelte educative, alla costruzione di una mente aperta e sana nel bambino.
In conclusione: quale ricchezza e quale vantaggio per i nostri piccoli, che sia proprio il bambino che racconta questa storia magnifica a portare a loro i doni
nella notte di Natale?
Ancora un’ultima e senz’altro secondaria riflessione: lavoro con le scuole e da tempo mi sbalordisce come queste possano, in particolare le numerose scuole dell’infanzia a stampo religioso, travestire un nonno da Babbo Natale che vada a sorpresa nelle classi a spaventare i bambini con lo scopo di regalare, in anticipo, qualche giorno prima di Natale, un puzzle o un pacchetto di caramelle…
Chiara Campiotti
pedagogista
chiaracampiotti@gmail.com
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