Vent’anni fa, Chicco Ravaglia
Nella notte del 23 dicembre del '99, il giocatore (ex Varese) morì in un incidente stradale dopo aver disputato una partita strepitosa con la maglia di Cantù. Il ricordo di Gianni Chiapparo e Dodo Rusconi
Vent’anni fa, era la notte tra il 23 e il 24 dicembre, ci lasciava Chicco Ravaglia, morto in un drammatico incidente autostradale a Piacenza, poche ore dopo aver deliziato la platea del vecchio “Pianella”. Cantù – la sua ultima squadra – quella sera giocava in casa, contro Reggio Emilia, e Chicco fu grande protagonista con 23 punti segnati e una vittoria importante per la formazione che schierava tra i suoi giocatori anche il mitico Antonello Riva. Poi il ritorno verso Imola, da solo in auto, e uno schianto che ci ha privati di un ragazzo speciale a soli 23 anni, un numero iconico per il basket che ricorre tre volte (data, età e punti segnati) in questa storia.
Già, speciale, perché Enrico – classe 1976 – era già stato capace di una serie di imprese. Quella di “unire” i tifosi di tre piazze storiche e rivali (Virtus Bologna, Cantù e ovviamente Varese), quella di essere “già grande” in campo nonostante un’età che oggi in Italia è considerata quasi da juniores, quella di diventare decisivo in partite pesanti (la semifinale di Coppa Italia ’97 con la Kinder, su tutte). E quella di saper lavorare con i grandi campioni che furono suoi compagni di squadra: da Pozzecco, Meneghin o Bill Edwards a Varese, allo stesso Riva fino ai mostri sacri della “sua” Virtus: Komazec, Danilovic, Abbio, Nesterovic, Rigaudeau e via dicendo…
«Solare, sempre allegro e positivo. Guascone e “compagnone” ma allo stesso tempo ragazzo educato, merito di una famiglia che lo ha sempre seguito da vicino ma senza essere invadente». Gianni Chiapparo fu affianco a Ravaglia nell’anno e mezzo trascorso a Varese, prima da vice-allenatore e poi da general manager. «Arrivò nell’estate del 1995 e portò con sé grande allegria e positività, però era anche un ragazzo con tanta voglia di lavorare. Il basket gli piaceva, era tagliato per quello: giocare e allenarsi erano le attività che preferiva e poi, di sicuro, aveva grandi qualità tecniche che si iniziarono a vedere proprio con la Cagiva nella stagione di esordio in Serie A».
«Quell’anno – prosegue Chiapparo – Pozzecco si infortunò seriamente dopo poche gare: e Chicco, soprattutto nel girone di ritorno, fece vedere tutto il suo talento, apprezzato anche da un allenatore esigente come Dodo Rusconi. Rimase con noi qualche mese anche l’anno dopo, poi la Virtus lo richiamò per via di alcuni infortuni tra i playmaker: provammo a tenerlo ma al secondo tentativo della Kinder tornò a Bologna, in quella che era la “sua” società e da noi arrivò Ricky Morandotti. Io credo che Chicco sarebbe potuto diventare un giocatore importante anche per la Nazionale italiana, con le sue qualità».
Ravaglia con la divisa della CagivaA gettarlo per primo nella mischia, in Serie A, fu Dodo Rusconi che in quegli anni era il coach di una bellissima Cagiva che gettò le basi per il successivo scudetto dei Roosters. «Venne da noi a 19 anni e venne subito accettato in quel gruppo che si andava formando. In spogliatoio c’è una sorta di “democrazia”, lui si inserì molto bene tra i compagni che gli fecero spazio volentieri. Ricordo poi che il secondo anno venne già richiesto dalla Virtus in estate, quando eravamo in montagna per la preparazione, ma rimase con noi ancora qualche mese, fino a quando Bologna lo rivolle indietro. In campo, ed è quello che ho detto anche ai suoi genitori, aveva un grande pregio: un’estrema intelligenza cestistica. Era rapidissimo nel capire tutto quello che accadeva intorno a lui sul parquet e ad agire di conseguenza. Forse è inutile star qui a ipotizzare quale sarebbe stata la sua carriera, però io credo che avrebbe fatto grandi cose nel basket».
«Chicco – Ravaglia – è il grido di battaglia»
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