Accam, l’incendio presenta il conto: 2,5 milioni di danni e nessuna assicurazione
Tra i costi per il ripristino e i mancati introiti i conti di Accam traballano più che mai. Il presidente: "I soldi in cassa bastano fino a marzo, i soci devono prendere una decisione"
La storia di Accam è costellata da rinvii, decisioni mancate e scelte rinviate. Ma l’incendio che il 14 gennaio ha colpito l’inceneritore di Busto Arsizio cambia le carte in tavola perché questa volta l’azienda rischia davvero di saltare. «Tra costi diretti da sostenere e i mancati introiti di questo periodo la società ha mezzi finanziari per arrivare fino alla fine marzo, ma dopo quella data ci serve liquidità» spiega il presidente di Accam, Angelo Bellora.
Bellora nei giorni scorsi ha avuto un incontro informale con i sindaci del territorio, cioè i soci dell’azienda, mettendo tutte le carte sul tavolo. «Il ripristino dei danni costa tra 1,2 e 1,5 milioni di euro -dice Bellora-. La sola sostituzione della turbina incendiata costa circa 600.000 euro mentre per riparare quella danneggiata ne servono 200.000. Ci sono poi i mancati introiti di questo periodo come quelli dello smaltimento dei rifiuti ospedalieri, i maggiori costi da sostenere per il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti in 6 diversi impianti della Lombardia e la mancata vendita dell’energia elettrica. Tutto questo abbiamo stimato avrà un impatto di 1,3 milioni». Quindi tra la conta dei danni e i mancati introiti il costo di quella notte di fuoco è di almeno 2,5 milioni di euro.
Soldi che non arriveranno da nessuna assicurazione perché nessuna assicurazione c’era a proteggere l’impianto. «L’assicurazione all risk, una specie di kasko delle auto, da ottobre 2016 non è stata più rinnovata -spiega Bellora (che guida Accam solo dal giugno 2019, ndr)-. La scelta era stata presa quando si era pensato di chiudere l’impianto nel 2017 e si era pensato non fosse utile pagare una polizza da 350.000 euro per pochi mesi di vita. La scelta di non assicurare l’impianto è stata confermata anche quando la chiusura è stata spostata al 2021. Poi nel piano industriale che posticipava la chiusura al 2027 l’assicurazione è riapparsa come garanzia degli investimenti che c’erano in cantiere e infatti l’avremmo dovuta sottoscrivere a breve per i lavori del rifacimento di una caldaia in programma nei prossimi mesi. Ma poi è successo quello che è successo».
Quindi senza nessun assicuratore in arrivo sono i comuni soci dell’azienda che, in un modo o nell’altro, dovranno mettere mano al portafoglio. La scelta che vorrebbe il consiglio di amministrazione è quella di un intervento diretto dei comuni, sia in cash o come garanzie bancarie, «per continuare lo sviluppo del piano industriale, avviare una sinergia con le aziende pubbliche del territorio in materia di rifiuti e rilanciare poi gli investimenti cercando un partner industriale».
Ma mai come in questi giorni è cresciuta la truppa di sindaci che vedono positivamente l’idea di liquidare o vendere la società. «La prima ipotesi sarebbe un vero disastro -dice Bellora- perché se dovessimo portare i libri in tribunale la prima cosa che salterebbero sono i fondi da accantonare per la bonifica, circa 300.000 euro all’anno. Si azzererebbe poi il capitale sociale, si dovrebbero ripianare le perdite e si dovrebbe affrontare la questione occupazione che tra lavoratori diretti e indotto riguarda 70 persone». Ma anche a mettere in vendita l’impianto le questioni sul tavolo sono molte: «Prima di tutto bisogna trovare qualcuno che sia interessato, qualcuno che probabilmente acquisterebbe l’azienda per 1 euro e che poi chiederà garanzie e cambiamenti per rendere più redivivo l’impianto. Quindi di sicuro un allungamento dell’affitto del terreno e probabilmente una modifica delle autorizzazioni di ciò che può essere bruciato».
In tutto questo comunque una prima linea dell’inceneritore dovrebbe ripartire nel corso di questa settimana, giorni durante i quali si riunirà anche il consiglio di amministrazione di Accam: «convocheremo un’assemblea dei soci, probabilmente per la fine di febbraio, durante la quale i sindaci dovranno prendere delle decisioni». E questa volta non si potrà tentennare.
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Dal punto di vista pubblico e sanitario è aberrante pensare che si possa candidamente fare simili dichiarazioni. Ci si indigna sugli incarichi e non si interviene se il Consorzio opera senza una polizza assicurativa?
Cosa sarebbe successo in caso di disastro ambientale?
Qualora la cosa continui a non interessare, dal punto di vista meramente patrimoniale, ma scusate, l’incendio sarà stato causato da qualcosa, no?
a nessuno interessa? se è accaduto per errore umano pace e amen, ma se si accertano carenze manutentive va ricercato nell’appaltatore inadempiente o nel responsabile che non ha messo in essere procedure necessarie.. sperando che abbia almeno lui una polizza assicurativa.