Andrea e il suo stage in una Shanghai deserta e spaventata dal coronavirus
Il racconto di un ragazzo di 26 anni partito per fare un'esperienza lavorativa e "bloccato" dalla paura del coronavirus: "Sembra una città fantasma, ma io non sono preoccupato"
È partito per Shanghai a gennaio, carico di entusiasmo per una nuova esperienza dall’altra parte del mondo. Ma nelle ultime settimane l’allarme per il “coronavirus” ha complicato non poco le cose per Andrea Bianchi, 26 anni, varesino, laureato prima in Design a Milano, poi, dopo un periodo di studio a Londra, ha conseguito una seconda laurea a Lugano in Management. Non appena terminati gli studi, è partito per uno stage nel settore marketing di un grande marchio italiano.
«Dovrei stare in Cina fino al 5 luglio, ma a questo punto non so fino a quando starò qui – racconta Andrea via Whatsapp -. Gli uffici sono chiusi da un mese. Prima ci sono state le vacanze per il Capodanno cinese, poi la vacanza è stata prolungata di una settimana, poi anche per quella dopo. Ora dovrei tornare al lavoro in ufficio il 24 febbraio, ma potrebbe essere nuovamente rinviato il ritorno. Ci consigliano di lavorare da casa, i miei colleghi italiani sono tornati in Italia subito, io aspetto. Le indicazioni che ci danno? Sono poche, uscire se non è necessario è la principale».
In giro per la metropoli cinese si respira un’aria strana: «Non c’è nessuno nelle metropolitane, che in un momento normale sono un via vai incredibile di persone. Shanghai ha 29 milioni di abitanti, non vedere nessuno che prende la metro è senz’altro qualcosa di strano – racconta Andrea -. I negozi per lo più sono o vuoti, o chiusi. La città è bloccata, è tutto chiuso, parchi, piazze, musei, chiese. Ieri fatto un giro per vedere un tempio, ma l’ho trovato chiuso. C’è un clima spettrale, sembra una città fantasma. I miei amici cinesi mi dicono che così vuota non l’hanno mai vista. Le scuole fino a fine febbraio sono chiuse, pare che ora le chiudono fino a fine aprile e anche le Università fanno solo lezioni online. I negozi delle grandi marche sono chiusi, alcuni fanno solo asporto».
Per entrare e uscire dai palazzi o dai centri commerciali bisogna rispettare una serie di procedure: «Bisogna compilare un form per tornare in ufficio, dichiarare dove sei stato, se sei uscito da Shanghai ti controllano. Senza mascherina non si entra nel building, ci sono distributori di detergente ovunque, è aperto un ingresso solo. Come nei centri commerciali, provano la temperatura a tutti prima di entrare – continua Andrea -. Anche nel mio condominio sono stati chiusi gli ingressi, uno solo è aperto: non si può entrare se non abiti o non lavori lì. Le consegne delivery per esempio bisogna andare a prenderle fuori, i driver lasciano tutto su un tavolino di legno e si scende per prendere le cose. In ascensore c’è un pannello dove mettere gli stuzzicadenti con cui si schiaccia il pulsante per non toccare i pulsanti: peccato che quello all’esterno lo tocchino tutti…Le mascherine sono andate a ruba, sono anche state “razionate” e distribuite a pacchetti di cittadini. Ce ne sono di tutti i tipi, da quelle piccole a giganti, tipo maschere antigas o maschere da sci. Io l’ho comprata e la metto, più che altro per l’impatto sociale: i cinesi la vivono parecchio male, sono preoccupati e se non si indossa la mascherina si è guardati con sospetto. Credo paghino ancora la paura per la Sars, questo virus li spaventa molto. Io vivo con due olandesi che sono qui da tre anni e adesso lavorano da casa come me, e un ragazzo di Taiwan che dopo il Capodanno cinese non è più tornato, anche lui è molto più preoccupato di noi europei».
«Come la vivo io? Sono tranquillo, un po’ frustrato per non poter fare quello per cui sono venuto qui. Temo che per altri mesi la situazione non si sbloccherà e lavorando soprattutto negli eventi credo sarà difficile vedere un cambiamento a breve – conclude Andrea -. Sto pensando di tornare, più che altro perché qui non posso fare niente, né lavorare, né girare per la città. Shanghai è la più grande città relativamente vicina all’epicentro della diffusione del virus, 850 km da Wuhan, ma i dati sulla diffusione che forniscono le autorità non sono drammatici, anzi, anche se in molti sono venuti qui dopo le prime notizie sull’epidemia. I miei genitori sono medici, mamma è un po’ allarmata, papà meno: io cerco di tranquillizzare loro e tutti quelli che chiedono. Non sono preoccupato».
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