“Igiene vuol dire fiducia”: i consigli dell’esperto ai ristoratori colpiti dalla crisi
Valerio Sarti, consulente varesino del settore, spiega: «Chi si fa trovare pronto può ripartire più forte. Fondamentale la comunicazione ai clienti». Come cambieranno happy hour e consegne a domicilio
«In un momento di crisi, storicamente, emergono nuove possibilità, nuove dinamiche, nuove situazioni che possono essere sfruttate per lasciarsi alle spalle le difficoltà e per ripartire più forti. Ciò vale, in questo momento, per un settore come quello della ristorazione che si è trovato a far fronte con le restrizioni dovute al coronavirus e ha bisogno di trovare al più presto una strada per uscire dalle secche».
A parlare è Valerio Sarti, varesino di 43 anni, fondatore delle Viesse Consulting di Induno Olona: Sarti vanta un’esperienza ventennale nel settore della consulenza alle aziende agroalimentari e della ristorazione e in questi giorni di crisi si è trovato in prima fila nel dover gestire le paure e le necessità di chi opera nel settore. A lui abbiamo chiesto un parere – e qualche consiglio – sulle mosse che i gestori di bar, ristoranti e attività simili possono mettere in atto da qui in avanti. (foto di repertorio)
«La prima domanda a cui devo rispondere è “quanto durerà?” e al momento, ovviamente, non c’è una risposta precisa. È chiaro che la preoccupazione degli operatori è forte e che questa sia un’incognita importante, però è necessario che si inizi fin da subito a mettere in atto una reazione ragionata e mirata. Questo vale ancora di più per le piccole e medie imprese perché, di norma, i colossi del settore hanno grandi risorse e sono meno toccati dalla crisi. La prima cosa da fare è mantenere alta la qualità: sembra paradossale, ma può accadere che in presenza di una clientela meno numerosa cali anche l’attenzione verso il piatto servito in tavola e, di pari passo, verso la gestione del personale e di altri aspetti. Questo può dipendere dal fatto che i nostri ristoranti, spesso, sono strutturati per “spingere al massimo” delle proprie possibilità ma non hanno la flessibilità necessaria per reagire ai cambiamenti repentini della domanda e della clientela».
Sarti, prosegue: «La crisi poi, rischia di creare pregiudizi: se bar e ristoranti subiscono alcune restrizioni, rischia di passare il messaggio che quei luoghi non sono del tutto sicuri. La prima cosa da fare, quindi, è aumentare la fiducia che il consumatore è disposto a concedere al locale. Il gestore deve quindi capire quali sono le aspettative implicite ed esplicite della propria clientela, deve mettere in atto azioni in quella direzione e quindi le deve comunicare in modo chiaro. L’igiene, per esempio, sarà un criterio sempre più centrale nelle valutazioni che la gente farà sui locali e questa è una circostanza di cui bisognerà tenere conto».
Valerio SartiCome, dunque, si può operare per andare incontro alle richieste – anche a quelle non espresse – delle persone che frequentano i ristoranti? «Non è un’eresia prendere spunto dalle grandi catene. In questi giorni, per esempio, chi entra in un McDonald’s vede che gli addetti, ogni pochi minuti, intervengono per sanificare i totem elettronici attraverso i quali si fanno le ordinazioni, scorrendo con le dita sullo schermo. La grande catena sta dimostrando di “essere sul pezzo” e di saper reagire subito al momento difficile. Il piccolo ristoratore deve fare lo stesso: recepire le ultime indicazioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità ndr), aggiornare – di concerto con il proprio consulente – i manuali di autocontrollo e quindi spiegare queste “mosse” agli avventori. Un altro esempio? Ora c’è paura per i luoghi molto affollati: non è una bestemmia pensare di rinunciare a qualche posto a sedere in cambio di una maggiore spaziatura tra i tavoli. Distanziare i clienti può sembrare una perdita nel numero di coperti ma mette le persone a proprio agio in un momento in cui i contatti devono essere evitati. Chiaramente, poi, il messaggio dev’essere evidenziato: la gente deve capire che il ristoratore è pronto a venire incontro agli avventori e non si deve limitare a lamentarsi per le problematiche in atto».
La crisi dovuta al coronavirus, inoltre, potrebbe causare una variazione delle abitudini piuttosto netta. Sarti sottolinea due aspetti, in particolare: «Non so se si arriverà alla fine dell’happy hour in assoluto, ma di certo quello del futuro sarà differente rispetto a come lo abbiamo conosciuto sino a oggi. Il buffet aperto a tutti, il vassoio dove ognuno mette la propria forchetta andrà a scomparire, perché l’attenzione all’igiene sarà sempre più alta. Si può ovviare a ciò? Sì, ma serve personale dedicato, servono guanti per gli avventori oppure vassoi con coperchi come quelli che si usano a colazione negli alberghi di buon livello. Un altro scenario importante è quello legato ai servizi di consegna del cibo a domicilio: fino a oggi la gran parte dei ristoranti ha guardato a questa soluzione come a un’aggiunta rispetto all’attività tradizionale. Invece diventerà, probabilmente, una modalità sempre più comune: per questo è necessario pensare a qualche investimento – anche piccolo – per rendere altrettanto centrale questa attività. E anche in questo caso, si può pensare a garantire la salubrità e la qualità: pensate, per esempio, a un sigillo apposto dal ristorante sulle confezioni consegnate a domicilio. Per chi le riceve – integre – significa avere la certezza che quel cibo è stato cucinato, confezionato e spedito in una situazione di grande attenzione verso l’igiene. Vi garantisco che ciò è fondamentale per alimentare la fiducia nei ristoratori».
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