Il frontaliere: “Stamattina sono andato al lavoro con la valigia”

Il racconto di uno dei lavoratori a cui l'azienda ha chiesto di organizzarsi per rimanere in Ticino per lavoro

«Domani, quando vieni di qua, portati la valigia». Alberto Fabbri, frontaliere della Valceresio, prima o poi se lo aspettava. Anche se tutte quelle voci che da giorni si rincorrevano sulla chiusura delle frontiere a causa del Coronavirus sembravano solo un’ipotesi remota, questa volta è toccato a lui. «È stata una comunicazione fulminea – spiega Fabbri -. Il mio capo mi ha telefonato mentre era in coda per rientrare in Italia. Non siamo noi i primi, già alcune aziende ad alcuni dipendenti hanno dato la possibilità di andare a stare di là, per paura della chiusura delle dogane».

Fabbri lavora per un gruppo che si occupa di food industriale, fa il magazziniere, è sposato e ha un figlio di dieci anni. Per lui come per gli altri che hanno ricevuto questa proposta non è stata una scelta facile. Non è una bella sensazione dover scegliere tra famiglia e lavoro, ma per alcuni frontalieri, in questo momento difficile, sembra non esserci altra alternativa. L’offerta di andare a stare di là non la fanno a tutti, ma a chi svolge mansioni considerate necessarie per mandare avanti, qualunque cosa succeda, la produzione.

«Quando mi è stato chiesto – racconta il lavoratore – potevo anche rifiutarmi. Ma come facevo? Gli stranieri che lavorano in Svizzera sono già in bilico per un sacco di cose. Inoltre in questa fase c’è tantissimo lavoro: già si parla di turni di dodici ore e riduzione delle ferie. D’altronde noi produciamo un semilavorato che serve a tante altre produzioni e l’azienda ha paura di perdere quote di mercato».

In Canton Ticino sono entrate in vigore le norme per contrastare il Coronavirus. Nella fabbrica dove lavora Fabbri in mensa si mangia da soli e a distanza di sicurezza, c’è uno scanner per rilevare la temperatura corporea dei lavoratori, i fornitori che entrano nello stabilimento devono usare mascherina e guanti. «Nel nostro stabilimento c’è una ditta esterna – spiega il frontaliere – che ha predisposto anche un registro dove vengono annotati tutti i sintomi che manifestano i lavoratori, come febbre, tosse e raffreddore».

Alla fine ciò che interessa a questo lavoratore è poter tornare a casa la sera dalla famiglia e dal padre che è anziano. Male che vada non possono obbligarlo a stare per tutta la settimana perché il permesso G, che è quello che viene concesso dalle autorità elvetiche a scopo di lavoro, è valido per i cinque giorni lavorativi, passati i quali bisogna fare ritorno in Italia.

«Quando sono arrivato nell’albergo del Malcantone – conclude Fabbri – c’era una pattuglia della polizia cantonale che mi ha chiesto dove andassi. “Al lavoro” ho risposto e mi hanno fatto entrare. Sul conto hanno addebitato anche la tassa di soggiorno di 6 franchi, ma anche questa la passa l’azienda».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 11 Marzo 2020
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