Lettera aperta di Confartigianato: “Più lenti, in sicurezza ma non fermi”
La prospettiva di una chiusura totale per ancora tre settimane crea ansia tra le aziende già alle prese con mancanza di liquidità, disdette e fatturati ridotti ai minimi termini
Pubblichiamo la lettera aperta di Confartigianato Imprese Varese a firma della presidenza e della giunta. Il tema di fondo è la data della fine della chiusura totale che si prospetta fino al 18 aprile prossimo. Una prospettiva che crea ansia tra le aziende alle prese con mancanza di liquidità, disdette e fatturati ridotti ai minimi termini. L’associazione di via Milano chiede di pensare fin da ora a una data per la ripresa entro cui pianificare le attività di ripresa, senza ulteriori rinvii e tenendo sempre monitorata l’applicazione delle regole per salvaguardare la salute di dipendenti e imprenditori.
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Altre due settimane di chiusura totale a partire dal 3 aprile, per spostare la data della ripresa, seppur graduale, al 18 aprile. Potrebbe andare ben oltre la Pasqua il blocco delle attività produttive che ha in mente il Governo per rafforzare le difese del Paese contro l’avanzata del Coronavirus. Ma è sempre più animato il confronto su quella che sarà la data della fine della chiusura e, di conseguenza, dell’inizio della ripresa delle attività produttive. Imprese che oggi navigano nel mare in tempesta di un blocco imposto o cautelativo della produzione che dura ormai da più di tre settimane e che, all’improvviso, si sono ritrovate con produzione e fatturati congelati. Se non lavorano, le aziende non fatturano e nello stesso tempo non si vedono arrivare contributi e liquidità significativi: dobbiamo difenderle da questo rischio pensando, sin da ora, a una data per la ripresa entro la quale pianificare un piano graduale di ripresa. Le conseguenze di un rinvio ulteriore, al netto delle indispensabili garanzie di sicurezza per i lavoratori e gli imprenditori stessi, sarebbero da allarme rosso: dalla crisi non si esce con i sussidi ma con il lavoro e la produzione.
Se fermiamo la macchina troppo a lungo, ne seguiranno danni irreversibili, un’occupazione asfittica e una capacità produttiva nettamente indebolita. Dobbiamo proteggere le persone dalla perdita del lavoro e il fatto che il lavoro sia in forte pericolo ce lo dice la composizione del nostro tessuto economico, caratterizzato da piccole e medie imprese che non avranno, è bene chiarirlo, la capacità di risollevarsi da sole. Il mese di aprile sarà strategico: bisognerà coniugare una lenta e ravvicinata riapertura con interventi di sostegno che non dovranno essere orientati al sussidio ma a sostenere attraverso l’innesto di liquidità la continuità della produzione, il mantenimento delle quote di mercato e il sostegno al lavoro. Il concetto è che le piccole e medie imprese vanno aiutate e sostenute subito, non fra un mese. Subito. Ci auguriamo pertanto che anche nei rapporti con l’Europa – l’unica nostra speranza per evitare un disastro economico alla già grave situazione sanitaria – si tenga una posizione di massima apertura, non escludendo alcuna soluzione compresa quella dell’utilizzo negoziato del Fondo Salva Stati o la possibilità di attivare Eurobonds solo con alcuni Paesi dell’Unione.
Non possiamo criticare altri Paesi di scarsa solidarietà, se siamo i primi responsabili delle nostre debolezze: non dimentichiamo che siamo noi a non aver mai ridotto il debito pubblico e ad aver mancato l’avvio di riforme strutturali significative. La soluzione non è sostituire il lavoro con il reddito di sussistenza, o i ripetuti indennizzi a pioggia, perché senza lavoro non si generano risorse, non viene garantito il benessere e non si riesce a garantire la salute delle persone. Può sembrare una banalità, ma ricordiamoci che le risorse pubbliche sono generate dalle imprese, dal lavoro, dalla produzione. Ciò non significa che la sicurezza e la protezione dal virus debbano inchinarsi alle esigenze economiche. Quando diciamo che nulla sarà più come prima intendiamo proprio questo. L’organizzazione della produzione come la conoscevamo prima di questo periodo difficilissimo non esiste più, quindi chiudere sistematicamente le imprese non ha senso, diamo piuttosto alle imprese la possibilità di riaprire elevando la sicurezza alla massima potenza, anche a costo di ridurre la capacità produttiva. Teniamo chiusi i reparti non indispensabili, obblighiamo le aziende ad adattare protocolli di sicurezza anti-contagio, e soluzioni tecniche e organizzative che evitino il contatto fra i lavoratori e impongano l’utilizzo di DPI appropriati. Chiediamo e pretendiamo dal mondo del lavoro collaborazione e responsabilità; chiudiamo solo chi non accetta e non rispetta queste prescrizioni. Lavorare anche meno anche con personale momentaneamente sospeso o in lavoro agile, ma lavorare tutti. O, almeno, lavorare in tanti: forse qualcuno in meno nella catena produttiva rispetto al passato, in modo sicuramente diverso, e con le più elevate garanzie di prevenzione del contagio. Più lenti, ma al lavoro. Perché la ripresa ci sarà e abbiamo davvero pochissimo tempo per pianificarla con intelligenza e razionalità, accantonando gli istinti indotti dalla comprensibile emotività. Chi oggi ci guida, è il nostro appello, non perda di vista l’equilibrio degli interessi complessi della collettività e sappia valutare quali scelte, non sempre popolari, sono necessarie in momenti come questi. Noi di Confartigianato Varese saremo al loro fianco.
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