“In corsia per sconfiggere il coronavirus, non si contano le ore di lavoro”

A più di un mese e mezzo dall'inizio dell'emergenza, il primario del reparto di malattie infettive Fabio Franzetti racconta com'è cambiato il lavoro

Il covid all'ospedale di Busto Arsizio

Proviene dall’Ospedale Sacco di Milano, dove era Responsabile delle emergenze infettivologiche e bioterrorismo. In agosto 2019 è stato nominato Direttore dell’Unità operativa di Malattie Infettive dell’ASST Valle Olona e dalla fine febbraio è in prima linea con
l’emergenza Covid-19.

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Nel reparto Covid dell’ospedale di Busto Arsizio 4 di 6

Il dottor Fabio Franzetti, 61 anni, traccia il bilancio di questi giorni di intenso lavoro per l’emergenza Covid-19.
«Non contiamo più le ore di lavoro che facciamo, i ritmi del nostro lavoro sono cambiati completamente – dice – Come responsabile del reparto di Malattie Infettive posso dire che sono circondato da collaboratori, siano essi medici o infermieri, con un livello di disponibilità e senso di responsabilità e sacrificio impareggiabili. Ho trovato la stessa generosità anche in molti
colleghi di altre specialità: pneumologi soprattutto, ma anche chirurghi vascolari, internisti, medici nucleari, ortopedici, otorinolaringoiatri, molti dei quali si sono offerti fin dall’inizio della pandemia per dare una mano».

L’Ospedale è stato ripensato in modo radicale.
«La strategia della Direzione è stata quella di ampliare gradualmente la disponibilità di posti-letto per i malati Covid-19, anticipando l’incremento dei casi, che si è puntualmente verificato. Questo ha comportato il sacrificio di posti letto in tutte le discipline, ma ha consentito una gestione organica della situazione».

Oltre un mese di lotta contro il SARS-CoV-2.
«Nell’esperienza che ci siamo fatti in questo mese non possiamo dire di aver osservato un’evoluzione nel comportamento dell’infezione. I pazienti che vengono ricoverati sono più gravi rispetto all’inizio della pandemia, perché oggi non tutti i pazienti infetti vengono ricoverati in Ospedale: chi ha sintomi meno impegnativi resta al proprio domicilio, per scelta o per necessità. In questo modo può sembrare che la mortalità sia molto più alta
rispetto a quello che si era osservato all’inizio dell’epidemia».

La lotta al coronavirus impone ai clinici le più ampie competenze.
«Non ci sono sintomi che distinguono il COVID-19 da una comune
influenza e quindi, in questa fase dell’epidemia che non si sovrappone (come all’inizio) all’epidemia stagionale dell’influenza, è lecito sospettare che la maggior parte delle cosiddette sindromi influenzali siano causate dal SARS-CoV-2, soprattutto se la febbre non ha un’altra causa più plausibile. La
differenza con l’influenza è sia l’evoluzione a breve termine (perché questo coronavirus dà più frequentemente polmonite grave), sia per la persistenza di stanchezza riferita da un buon numero di pazienti, anche dopo la guarigione
dalla fase acuta».

Non ultime le tante, tantissime manifestazioni di vicinanza.
«Fin dall’inizio abbiamo sentito il sostegno della collettività. Gli esempi sono numerosi. Dalle offerte di denaro, alla disponibilità di materiale sanitario o tecnologico (computer, tablet e altre apparecchiature), il continuo approvvigionamento di cibarie (pizze e dolci vanno per la maggiore) offerti da operatori del settore. Ma anche le manifestazioni di solidarietà che i cittadini hanno espresso in forme diverse: i ringraziamenti pubblici e privati, gli striscioni, le e-mail».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 15 Aprile 2020
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