Il forno crematorio di Varese lavora a pieno ritmo
MariaRosa Calderaro, responsabile di gestione del forno crematorio di Giubiano a Varese racconta l'attività durante l'emergenza. "I Varesotti hanno la precedenza, ma lavoriamo anche per altri". In risposta alla situazione di confine: "Non siamo noi a dirottare defunti in Ticino"
In Canton Ticino arrivano morti dalle province italiane confinanti. Il loro aumento desta preoccupazione perché anche in Svizzera aumenta la necessità di dare un luogo di riposo a chi non ce l’ha fatta.
A raccontarlo è un servizio della RSI, la Radio Svizzera Italiana, che ha intervistato Giorgio Valsangiacomo, amministratore delegato dell’Associazione ticinese di cremazione.
In Ticino i carichi di lavoro delle agenzie funerarie e dei crematori sono aumentati con 152 cremazioni in più nei primi mesi di quest’anno, rispetto al 2019. Ma, come spiega il servizio, un centinaio di queste sono state richieste dalle province di Varese e Como. «Finché possiamo diamo una mano, “ma alle richieste di Bergamo – ha spiegato Valsangiacomo – abbiamo dovuto rispondere di no».
Davvero la situazione è cosi difficile dall’altra parte della frontiera, dove ci sono le provincie di Varese e Como, apparentemente le meno colpite della Lombardia?
«Di sicuro non siamo noi a dirottare, quelli che chiamano cerchiamo di risolverli tutti: ovviamente abbiamo delle priorità, che corrispondono alla residenza. Prima Varese, poi la provincia, poi gli altri – spiega MariaRosa Calderaro, responsabile di gestione di SCV, la concessionaria che gestisce il forno crematorio di Giubiano a Varese – Abbiamo fatto un’opera di mutuo soccorso con i morti di Bergamo nei giorni scorsi, anche perché il forno crematorio della città è sotto la nostra gestione, come quello di Varese. Ma adesso anche lì, con l’arrivo dell’esercito, la situazione si è risolta, se cosi si può dire».
A chiedere la disponibilità dei forni crematori potrebbe essere però la società di onoranze funebri: «Un’ordinanza del 25 marzo precisa che i morti devono essere tumulati entro 7 giorni – continua Calderaro – Può essere che chi voglia rispettare le volontà del proprio caro alla cremazione, si rivolga, magari pagando di più, ad altri forni, anche non italiani. Se non si trova una soluzione entro 7 giorni, infatti, la persona verrà inumata “normalmente”, e per normalmente si intende in un campo per infettivi cosa che magari i parenti vogliono evitare. Dal nostro punto di vista però, stando alle nostre richieste, per i residenti in provincia non c’è problema: riusciamo a stare nei tempi».
Il forno crematorio di Varese ha due linee, che riescono a completare ognuna 12 cremazioni al giorno. Sono in tutto 24 al giorno: «Per 7 giorni su 7, perchè è con questi tempi che lavoriamo. Ci fermiamo solo per la pulizia e la manutenzione, in particolare dei filtri, che è molto importante soprattutto di questi tempi per lavorare in sicurezza».
In ogni caso. «Abbiamo molte richieste, certamente, ma la situazione di Varese non si può nemmeno lontanamente paragonate a quella di Bergamo, che è tornata gestibile solo con l’arrivo dell’esercito. Qui ci si può ancora organizzare, e non ci sono i drammatici problemi collaterali che ci sono là: a Bergamo i tempi si dilatavano anche perchè era difficile persino reperire i documenti che riguardavano il morto, o le firme dei parenti, che magari erano anch’essi in quarantena, in ospedale o irreperibili».
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