L’emergenza coronavirus non ferma il centro diurno “Il viandante”
Il centro diurno dell'associazione "Camminiamo insieme" non ha chiuso in queste settimane e ha continuato ad offrire ristoro e aiuto alle persone senza fissa dimora
Da 5 anni a Varese l’Associazione Camminiamo insieme gestisce il centro diurno “Il Viandante” offrendo ristoro ed aiuto alle persone senza fissa dimora. Mai come quest’anno la piccola associazione è stata messa alla prova. L’improvviso espandersi del coronavirus seminava migliaia di morti in tutto il mondo ed il modo più efficace per cercare di fronteggiare e contenere il contagio sembrava essere la “distanza sociale”, il “restare a casa”, impresa difficilissima se non si ha una casa.
«Questo sembrava contraddire i principi fondamentali dell’associazione stessa – dice Gisa Legatti, una delle volontarie dell’associazione – Bisognava prima di tutto prendere le distanze uno dall’altro e ogni persona, chiamata prima alla socialità, veniva diffidata ad incontrare l’altro. Bisognava “non uscire”, e lo slogan “io resto a casa” diventava la formula più divulgata e sempre più ossessivamente ripetuta. Giusto. Ma, secondo l’Istat, in Italia ci sono circa 50.724 persone che una casa non ce l’hanno. Certamente per loro sarebbe stato molto difficile “uscire” da una casa che non avevano ma sarebbe stato altrettanto difficile rimanere in una casa che non avevano».
Quindi i senza fissa dimora erano di fatto esonerati da questa ingiunzione perché non potevano oggettivamente ubbidire. Ma sarebbero stati passibili di sanzioni? Avrebbero potuto essere multati perché, trovati in giro, avrebbero detto di non potere né “restare” a casa né “uscire” da casa? Qualche caso a Varese dimostrerebbe di si.
«Ma c’è altro – dice Gisa – i senza fissa dimora si trovavano ad essere una categoria esclusa dall’obbligo della quarantena obbligatoria ma non avevano nessun luogo dove potersi riparare per evitare il rischio di contagi. Dunque i senza fissa dimora potevano essere dei potenziali “untori”». Che fare? si sono chiesti i volontari dell’Associazione. I senzatetto, ma anche tante altre persone che vivono ai margini della società, hanno sempre contato sul loro aiuto, si sono sempre fidati di loro: era possibile abbandonarli proprio quando l’urgenza si faceva più incalzante, si poteva non esserci quando il gesto più necessario era esserci?
«A Varese i servizi doccia, mensa, guardaroba, dedicati proprio a chi vive in situazione di precarietà, sono stati chiusi – aggiunge Maria Rosa Sabella, altra storica volontaria e punto di riferimento del centro “Il viandante” – e come possono i senza fissa dimora “lavarsi spesso le mani” se le docce sono chiuse”? Come fanno a mangiare almeno un piatto caldo al giorno se il servizio mensa è chiuso? Come fanno ad avere vestiti puliti e in ordine se il servizio guardaroba è chiuso?».
I volontari del centro si sono interrogati e hanno deciso di non chiudere. Hanno modificato il loro orario ma hanno assicurato ai loro utenti (35 in questo periodo) l’accesso al servizio nell’arco della giornata. Si entra a piccoli gruppi per usare i bagni, per potersi rinfrescare, fare colazione e consumare il pasto senza fermarsi per strada o essere obbligati a spostarsi da una panchina all’altra per non dare troppo nell’occhio.
«Siamo tutti ben consapevoli dei rischi che corriamo e prendiamo tutte le precauzioni possibili – spiegano Gisa e Maria Rosa – distribuiamo mascherine e disinfettante, misuriamo la temperatura, diamo tutte le informazioni per la prevenzione». Nessuno di loro si sente un eroe, tutti sono semplicemente convinti che non avrebbero mai potuto chiudere quella porta che mani timorose avevano aperto con fiducia.
«La solidarietà, per fortuna non è mancata – concludono le due volontarie – Abbiamo lanciato un appello ai cittadini di Varese che hanno risposto con gioiosa complicità. Il pranzo pasquale che è stato allestito nei nostri locali con il contributo della Proloco e del Ristorante Altamura è stato forse il punto più alto e più coinvolgente della solidarietà cittadina».
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