“Peppino” Caletti, il nonno partigiano che raccontava ai bambini
Era tra gli ultimi partigiani in città. Pittore e attivo nella vita del quartiere di Cedrate, fino a pochi anni fa amava portare il racconto nelle scuole
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Partigiano per un anno e poi per sempre, nella vita, anche in pace, mentre cresceva la sua grande famiglia: a Gallarate questi giorni mesti hanno visto anche l’addio di Giuseppe Caletti.
Si era unito ai partigiani ventenne, quando capisce che rischia di essere reclutato dai fascisti per andare in Germania a combattere. Era già ferroviere, lavoro che ha sempre amato molto e che ha ripreso dopo la guerra: proprio sul posto di lavoro ha iniziato a mettere insieme gli indizi che lo portarono a capire che era giunto il momento di andare sulle montagne. Combattè poi nel Novarese
Il 25 aprile 1946, alla prima commemorazione della Liberazione, aveva tenuto il discorso a Cedrate, il quartiere di Gallarate che si sentiva ancora un po’ paese a parte e ricordava i suoi Caduti al monumento e alla lapide dentro al “circolone”.
«Ormai la parola ‘compagni ha troppo sapore di partito e taluni la odono con diffidenza. Ma allora si era effettivamente tutti compagni, cioè uniti dalla medesima sorte, per un medesimo fine, la Liberazione d’Italia» aveva detto alla folla Caletti. Alla retorica fascista, alle parate tronfie , aveva contrapposto l’immagine dell’esercito di popolo: «Dovevano proprio essere le scarpe rotte, i vestiti eterogenei, il mitra con non sempre il caricatore di scorta, i capelli al vento, i volti semplici e sereni di questi nostri caduti a risollevare l’onore che sembrava irrimediabilmente perduto».
Appena finita la guerra si sposò subito con l’amatissima Angela e sono stati sposati 70 anni: due figli, quattro nipoti, quattro pronipoti, quelli che compaiono nelle ultime foto insieme.
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La nipote Elena Gagliardi l’ha intervistato qualche anno fa, ne è venuto fuori un video intenso, dalla notte dell’arruolamento fino alla liberazione di Milano: «Era anche un pittore e la stanza nella quale è stata fatta l’intervista era il suo “studio”: un tavolo rotondo e tutto intorno pennelli, colori, cavalletti e tanti quadri: principalmente paesaggi lombardi, ma non solo». Solo nel 2017 era andato a raccontare la sua storia all’istituto De Amicis, nella classe della pronipote più grande Virginia, allora in 3 media, in occasione della giornata della memoria: «Con i suoi racconti partigiani aveva lasciato tutti a bocca aperta».
«Da grande è stato lui a insegnarmi con una grande umiltà che i partigiani non erano eroi ma uomini e donne che con coraggio si sono messi dalla parte giusta» racconta ancora la nipote Elena. Il racconto della sua guerra partigiana finiva con piazzale Loreto, quando fu messo a tenere a bada la folla che voleva oltraggiare i corpi di Mussolini e dei gerarchi. Lui, Peppino, ne aveva abbastanza di violenza. Depose le armi e visse la vita, la pace, la famiglia.
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