“Un mese senza mascherine. Così ci siamo ammalati”. La storia di due infermiere in una rsa

Le due professioniste hanno lavorato alla San Luigi Gonzaga di Gorla Minore fino a fine marzo: "Ci davano le mascherine fatte con le tovaglie". Una è ammalata e l'altra ha deciso di lasciare il lavoro

mascherina

Marina (il nome è di fantasia) dall’estate 2018, fino alla fine del mese di marzo, ha lavorato come infermiera professionale all’interno della casa di riposo San Luigi Gonzaga di Gorla Minore, già al centro dell’attenzione dopo le parole del sindaco Vittorio Landoni.

Ad un certo punto ha scelto di lasciare la rsa perché non si sentiva più sicura: «Mentre fuori il virus iniziava la sua diffusione in Lombardia all’interno della struttura non veniva preso alcun provvedimento. Lavoro anche in un’altra struttura in provincia di Milano e lì sin dall’inizio si sono preoccupati di fare scorte di dispositivi di protezione che, anche se non sempre ottimali, ci sono stati forniti con una certa regolarità. Alla San Luigi Gonzaga il nulla fino a quando il sindaco non ha saputo del primo anziano morto di Covid 19 e ci ha fatto arrivare delle mascherine ffp2. A quel punto, però, era già troppo tardi».

Dal 27 marzo Marina non è più andata al lavoro, avendo la percezione forte che la situazione stesse precipitando. Sarebbe dovuta rientrare ai primi di aprile ma ha mandato un messaggio al suo responsabile dicendo che, per proteggere la sua famiglia e l’altro posto di lavoro, non sarebbe più tornata: «Lavoro anche in un’altra casa di riposo. Nell’altro posto dove lavoro le maschere chirurgiche sono arrivate molto prima che alla San Luigi Gonzaga. Fino al 27 marzo non ho visto mascherine all’interno della casa di riposo San Luigi Gonzaga, se non quelle fatte con la carta velina o con le tovaglie in tessuto non tessuto che si usavano per fare le attività con gli anziani».

L’infermiera spiega come non fosse stata data nessuna indicazione da parte della direzione sanitaria per la gestione dell’emergenza, anzi chi si muniva autonomamente di mascherina veniva messo alla berlina: «Come libera professionista mi sono portata la mia mascherina ma il caposala mi diceva di non utilizzarla per non creare il panico. Mi dicevano: “È arrivato il coronavirus”».

Questi episodi Marina li ha raccontati anche in una mail inviata alla struttura, sottolineando che il suo non era un atto d’accusa contro qualcuno ma solo l’oggettiva realtà che vedeva ogni giorno davanti ai suoi occhi: «Non stavo abbandonando la nave ma è certo che la nave era senza scialuppe».

L’infermiera, anche se svolgeva turni saltuari e non ogni giorno, aveva il polso della situazione proprio perché si occupava di controllare lo stato di salute degli ospiti, compresa la temperatura corporea: «Nel nucleo Alzheimer e al secondo piano c’erano moltissime febbri. Già a marzo è iniziato l’aumento dei decessi. Non facevo molti turni ma quando arrivavo trovavo stanze vuote e chiedevo che fine avessero fatto gli ospiti, la risposta era sempre la stessa: decesso. Le morti venivano fatte risalire regolarmente ad altri motivi. Durante l’ultimo turno che ho svolto, ho trovato 3-4 ospiti con la febbre e una di loro è stata ricoverata su richiesta dei familiari. Dal tampone è risultata positiva e dopo qualche giorno è morta. Se una persona ha la febbre alta e la saturazione è bassa, non puoi pensare che non sia coronavirus». In seguito è stato allertato il comune e sono poi arrivate le prime mascherine ffp2.

Marina ha provato ad avere fiducia nei suoi superiori fino a quel momento, poi non se l’è più sentita: «Molti dipendenti si erano messi in malattia per paura. Una è ricoverata ancora in ospedale mentre una mia collega è a casa con la febbre alta. I primi tamponi li hanno fatti 11 giorni fa».

Ed è proprio dalla viva voce della sua collega di lavoro, anche lei infermiera, che scopriamo che si è ammalata e ora è a casa con febbre alta e dolori in tutto il corpo: «Oggi sto un po’ meglio. Ho avuto febbre, dolori ovunque, vomito – racconta con una voce provata -. Lavoro da due anni alla San Luigi Gonzaga. Confermo che fino alla fine di marzo non sono state date mascherine. Solo litigando riuscivamo ad ottenere qualche dispositivo. Il caposala insisteva a dire che non dovevamo creare falsi allarmismi. Gli ultimi turni che ho fatto tra il 28 e il 31 c’era grande tensione perché mancava molto personale Asa ma non ci dicevano nulla. Nascondevano le notizie per farci continuare a lavorare. Ci dicevano: “coraggio ragazze andate avanti. Non c’è nessun caso sospetto”».

Ma le morti anomale sono iniziate già a marzo: «Il 24 marzo ho svolto l’ultimo turno di mattina e ho visto che sono morte due persone nella stessa stanza, a distanza di poche ore. Quando ho detto che c’era qualcosa che non andava il caposala mi ha detto di fare un prelievo ad un ospite morto da qualche minuto. Il prelievo era finalizzato ad avere qualche certezza dai valori del sangue».

Ospiti che avevano la febbre sarebbero state trasferite in modo che le due infermieri giudicano non idoneo: «Hanno contagiato altre persone nel passaggio da un piano all’altro. Non si è capito da dove tutto è partito ma crediamo che tutto sia iniziato dallo spostamento di quelli Alzheimer sui piani».

La situazione attuale è molto difficile. Ora i dispositivi di protezione sono arrivati «ma sono rimasti solo 2-3 infermieri. Qualcuno è stato a casa una settimana e poi è tornato al lavoro, col rischio di aumentare il contagio. Hanno sempre sottovalutato il problema perché non avevamo dispositivi di protezione quindi dovevano farci credere che le cose stavano diversamente per farti venire fino all’ultimo al lavoro». I decessi sospetti da metà marzo ad oggi sono almeno una trentina ma quelli ufficiali, quindi sottoposti a tampone, sono solo 3.

LA REPLICA DELLA STRUTTURA

Rsa San Luigi Gonzaga: “Chiediamo tamponi e personale ma da Ats non abbiamo risposte”

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 14 Aprile 2020
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