In 15 giorni l’ospedale di Cuasso è tornato a pieno regime
Il presidio ha subito una profonda modifica della sua funzione. La coordinatrice infermieristica racconta la trasformazione dell'assistenza tra ansia, sacrifici e grandi emozioni
Ai primi di marzo la Direzione dell’ASST Sette Laghi ha individuato l’Ospedale di Cuasso quale struttura destinata ad ospitare i pazienti CoViD provenienti da tutta la regione che abbiano superato la fase acuta della malattia o che siano in degenza di sorveglianza.
In un paio di settimane, la struttura è stata completamente trasformata dall’Ufficio Tecnico e ad oggi ha accolto 150 pazienti in via di guarigione.
Decisivo in questa rivoluzione messa in atto per far fronte all’emergenza è stato il personale infermieristico: un gruppo di professioniste che già operava a Cuasso per la riabilitazione respiratoria e neuromotoria e che in una sola settimana, tra l’8 e il 16 marzo, si è trovato a vivere un’esperienza nuova di grande spesso umano e professionale.
«Tra noi infermieri – racconta Marialuisa Pecora, Coordinatrice infermieristica a Cuasso, a nome di tutto il gruppo – c’erano sentimenti contrastanti: il dispiacere per il distacco da degenti con cui si era creata ormai una grande familiarità e che dovevamo trasferire in altre strutture, la paura di affrontare un nuovo percorso ad alto rischio e con molte incognite, l’entusiasmo per una nuova e responsabilizzante sfida professionale».
Il 14 marzo sono iniziati i lavori strutturali per la creazione di pareti in cartongesso che avrebbero delimitato e protetto come una barriera la zona pulita cioè priva di virus, dalla zona filtro in cui avviene la vestizione e svestizione dagli elementi di protezione personale e la zona infetta dove ci sono i degenti e dove una volta entrato il personale esce solo a fine turno.
«È stata – continua la coordinatrice – un’esperienza di gruppo che ci ha unito come mai prima. Abbiamo utilizzato tutte le informazioni che avevamo a disposizione: protocolli aziendali, esperienze di altri ospedali già in attività covid e soprattutto il supporto continuo e prezioso del team della Direzione Infermieristica con la dottoressa Tomasin e i dottori Gamberoni, Piffer, Banfi e Staffa».
E così a tempo di record la mattina del 16 marzo venivano accolte a Cuasso i primi due pazienti provenienti da Bergamo. Da quel momento è stato tutto un crescendo di impegno e verifica delle procedure in essere. «I primi quindici abbiamo lavorato in pochi. Dovevamo tarare il nostro livello di protezione per non esporre tutti ad eventuali contagi. Il grosso dei colleghi è rimasto a casa pronto a rientrare in caso di necessità. Quando abbiamo verificato che il sistema teneva, che il controllo in entrata e in uscita dalla zona filtro funzionava abbiamo cominciato a respirare. L’organizzazione del lavoro in doppio, uno dentro la zona infetta e uno fuori in parallelo è risultata efficace e i sentimenti di paura, distacco dalla famiglia e fragilità emotiva di questi pazienti sono diventati il nostro motore propulsivo».
Grazie all’impegno di alcune associazioni del Terzo Settore e non solo è stato installato un ripetitore per garantire la copertura telefonica e un sistema wi fi che copre tutto l’edificio. Sono arrivati anche tablet, smartphone e schede sim con cui vengono assicurati i contatti tra i degenti e le loro famiglie.
È partita una vera e propria gara di solidarietà che ha consentito di arredare anche i locali realizzati a tempo di record e destinati al personale proveniente da lontano o che ha preferito non rientrare in famiglia in questo periodo.
Qualche azienda del territorio offre cibo e bevande gratuite al personale, c’è chi ha pensato perfino di regalare un set di walkie talkie per facilitare le comunicazioni tra la zona infetta e la zona pulita.
Accanto al reparto sub-intensivi è stato realizzato un reparto di sorveglianza per coloro che sono guariti ma non ancora negativizzati. Per questo al primo nucleo di operatori si sono affiancati altri OSS e infermieri in prestito volontario da altre strutture o con contratti a tempo determinato apportando nuove energie ed entusiasmo.
«La gioia più grande – conclude Marialuisa commossa – è quando dimettiamo un paziente dopo la quarantena. L’abbraccio dei familiari che non vedeva da mesi, i ringraziamenti al personale, la commozione di tutti. Sono cose ci ripagano dei sacrifici che stiamo sopportando da quasi due mesi con turni massacranti, grande fatica fisica per il caldo, la disidratazione, lo stress. E’ senza ombra di dubbio un’esperienza umana e professionale molto forte che fa emergere un sentimento di tristezza per la sofferenza e i tanti morti che questo virus sta provocando ma insieme una forte solidarietà e condivisione, valori umani che rischiavamo di perdere per strada».
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