Coronavirus: la storia di Giovanni, 83 anni, guarito dopo 42 giorni di ospedale
Appena rientrato a casa, ha voluto incontrare i volontari della Protezione Civile Valtinella che nel periodo di ricovero lo hanno aiutato portandogli vestiti, biancheria e le sue cose per fare la barba

In questi mesi di quarantena abbiamo raccontato tante storie di decessi e lutti, perdite dolorose di tante persone che non ce l’hanno fatta a sconfiggere il coronavirus.
Accanto a queste ci sono (per fortuna) anche i racconti di chi è riuscito a tornare a casa dopo giorni e giorni di ospedale e lotta contro il virus, tra fatica a respirare, paura, solitudine e la gioia quando finalmente tutto finisce bene.
La storia di Giovanni Bianchi è una di queste. 83 anni, residente a Casciago, una vita da impiegato alla Ignis dove era capo magazziniere, appassionato di calcio, bocce e ciclismo «anche se dopo l’infarto di tre anni fa e dopo due bypass, i medici mi hanno consigliato di non andare più in bici. Ma ho sempre tre palmerine a casa».
Il signor Giovanni è stato 42 giorni in ospedale prima di poter far rientro a casa, dove dovrà osservare altri 15 giorni di quarantena: «Ne faccio volentieri anche 20, l’importante è che sia potuto tornare qui da mia moglie e mio figlio. Rivedere i miei cari è stata una gioia immensa, anche se dobbiamo stare distanziati e con la maschierina».
Tutto è cominciato una sera di un mese e mezzo fa: «Ero a casa, ma ogni volta che facevo due passi mi sentivo stanco. L’ho detto a mia moglie e abbiamo chiamato la dottoressa che è venuta a casa tutta bardata e mi ha messo il saturimetro al dito. I valori non erano sufficienti e ha chiamato l’ambulanza, da lì è cominciata una mezza odissea: prima mi hanno portato a Cittiglio, poi ad Angera ed infine a Varese, al sesto piano – racconta il signor Giovanni -. Quando mi hanno detto che il tampone era positivo è stato come ricevere una coltellata, anche se di dolori io non ne ho mai avuti».
«Facevo un po’ fatica a respirare, questo sì. Mi hanno messo il casco (il C-Pap per la ventilazione meccanica) per aiutarmi, ma mi dava l’impressione di soffocare, soprattutto di notte. Poi si è passati all’ossigeno, via via con dosi minori, fino a quando me lo hanno tolto e mi hanno trasferito prima dal sesto piano al quinto a Varese, poi a Tradate. Sono stato trattato bene, il personale è all’altezza, mi hanno curato a dovere – continua il racconto -. Quando finalmente gli ultimi due tamponi sono risultati negativi e mi hanno detto che sarei potuto tornare a casa sono stato immensamente felice. È stata una brutta avventura, ero preoccupato perchè pensavo a casa, a mia moglie che ha bisogno di aiuto, fortuna che c’è mio figlio che l’ha aiutata e le è stato accanto».
Ieri (martedì 5 maggio), appena rientrato a casa, ha voluto incontrare i volontari della Protezione Civile Valtinella che nel periodo di ricovero lo hanno aiutato portandogli vestiti, biancheria e le sue cose per fare la barba per sentirsi in ordine in ospedale: «Abbiamo cercato di dare una mano – spiega Rosalba Altieri, coordinatrice del gruppo intercomunale Valtinella (nella foto, fuori dal cancello del signor Giovanni) -. Non lo conoscevamo, ma si è creato un legame con lui e con la sua famiglia, ci siamo affezionati. Ci ha fatto piacere incontrarlo e vedere che sta bene dopo un periodo così lungo».
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