Sicurezza sul lavoro e Covid-19: ritorna al centro il tema dell’organizzazione

Secondo Ivano Ventimiglia, funzionario del dipartimento di sicurezza della Cgil, questa esperienza è un banco di prova importantissimo sulla qualità della prevenzione

sindacato

Iniziata la Fase due e ripristinata la produzione, seppur parziale, nelle aziende, gli esperti hanno ora una sola e legittima preoccupazione: evitare che il contagio da Coronavirus riprenda a galoppare ai ritmi di marzo. Tutti incrociano le dita, esperti compresi, perché nessuno ha la sicurezza dell’esito di questa apertura.

Ivano Ventimiglia, funzionario del dipartimento sicurezza della Cgil di Varese, in questa drammatica emergenza coglie però un altro spunto di riflessione in quanto è convinto che questa esperienza sia un banco di prova importantissimo per valutare la qualità della prevenzione.

Ventimiglia, perché questo Fase 2 è così importante?
«L’emergenza sanitaria ci ha reso consapevoli di una cosa: la tutela della salute nelle aziende ha un evidente contraccolpo anche all’esterno. L’importanza di fare prevenzione nei luoghi di lavoro si inserisce quindi in un dramma umano molto più ampio, collettivo e condiviso. I lavoratori diventano una sorta di punta avanzata della prevenzione per l’intera società».

Non è però un passaggio così automatico?
«I protocolli firmati non sono semplice carta. L’articolo 13 di quello sottoscritto il 14 marzo, integrato poi con il protocollo del 24 aprile, impone alle aziende il coinvolgimento di rsu e rls. È una specificazione importante perché il tema dell’organizzazione è centrale se si vuole fare prevenzione e per farlo è necessario coinvolgere tutte le parti. Se questo non avviene, non serve a nessuno. E se non serve all’interno dell’azienda non serve nemmeno all’esterno, anzi».

Il sindacato da tempo afferma che la sicurezza nei luoghi di lavoro è un investimento e non un costo. Perché oggi questa affermazione dovrebbe essere più vera rispetto a prima?
«Perché il coronavirus ha fatto diventare la sicurezza un elemento della nostra normalità, delle nostre vite quotidiane, non solo rispetto al lavoro e la fabbrica. In termini economici potrei spendere ore a spiegare un principio che è ormai consolidato e comprovato da studi scientifici: salute ed economia, sicurezza e capitale umano, non possono essere trattati come aspetti antitetici. Se la salute e la persona sono al centro dell’organizzazione, conseguentemente abbiamo tutte le ricadute positive sull’economia. Se vuoi continuare la produzione, ma il 50% dei tuoi lavoratori si ammala, come fai? Il tema è dunque quello di  un’organizzazione del lavoro diversa e il Covid è un’ulteriore possibilità di crescere nella cultura della sicurezza. La riflessione sul modello economico e la persona al centro verte sulla dignità dei lavoratori e rimane essenziale anche in questa fase».

C’è un problema di dimensione aziendale nell’applicazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro?
«La cultura della sicurezza investe tutti trasversalmente, la vera questione è come incrementarla. La risposta c’è: attraverso la formazione e verificando la sua efficacia. Non c’è una differenza tra grandi, piccole o medie aziende, quanto piuttosto un problema di approccio. E quando l’approccio è corretto, concordato e condiviso tutto il sistema di protezione e prevenzione funziona in modo adeguato, dalla conformità delle macchine alle singole procedure, fino ad arrivare all’uso dei dpi (dispostivi di protezione individuale, ndr). Se un’azienda invece è convinta che la sicurezza sia un adempimento burocratico, vuol dire che non ha idea di che cosa significhi la parola sicurezza. In provincia di Varese abbiamo casi virtuosi di aziende che applicano i protocolli alla lettera e che lavorano con grandi livelli di qualità. Come dicevo, è un fenomeno trasversale, ci sono aziende artigianali che hanno standard di sicurezza elevatissimi e accade sempre più spesso che sia il committente a pretenderlo».

Quali sono state le richieste più frequenti dei lavoratori in questi mesi?
«In molti hanno chiamato e a tutti abbiamo fornito una lista di controllo come supporto per fare un’autovalutazione del protocollo. Sono stato interpellato anche da aziende, naturalmente in qualità di Rlst (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, ndr), per confrontarci su molti punti specifici per far applicare i protocolli e garantire il rispetto delle norme di sicurezza».

 

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 04 Maggio 2020
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

  1. Avatar
    Scritto da Paolo A. Pavan

    Covid 19 è una forma abbreviata di Coronavirus disease 2019. In italiano malattia da Coronavirus. Quindi dire contagio da Covid è sbagliato. Bisogna dire contagio da Coronavirus, al limite abbreviato in SARS Cov o Cov. Covid è la malattia (sostantivo femminile), si scrive la Covid 19. Altrimenti si scambia la causa (il Coronavirus) per l’effetto (la Covid 19.

    1. Michele Mancino
      Scritto da Michele Mancino

      Buongiorno, ha ragione. Spesso per semplificazione vengono usati come sinonimi anche se non lo sono.
      Grazie per la precisazione

Segnala Errore

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.