Quarantadue micro focolai Covid: i nuovi casi sono in famiglia
Mesi difficili di lavoro serrato e in condizioni emotivamente dure. I tecnici di Ats Insubria spiegano come hanno affrontato l'emergenza Covid19 e quale sia oggi il sistema per individuare i contagi
« Siamo passati da cinquemila casi di malattie infettive in un anno a 4000 in tre mesi. Anche noi abbiamo lavorato in condizioni critiche ed emotivamente difficili». Riassume così questi mesi di gestione dell’emergenza coronavirus in provincia la dottoressa Annalisa Donadini, Responsabile dell’Unità Operativa di Medicina Preventiva e delle Comunità di ATS Insubria nel corso di un incontro per fare il punto della situazione.
A GENNAIO COSTITUITA L’UNITA’ DI CRISI SUL CORONAVIRUS
Nel gennaio scorso Ats Insubria aveva attivato un’unità di crisi per il coronavirus: « Abbiamo iniziato a coordinare i diversi servizi e uffici che sarebbero potenzialmente stati coinvolti – spiega il dottor Paolo Bulgheroni, Direttore del Dipartimento di Igiene e Prevenzione – un organismo che poi ha iniziato a lavorare per la gestione della crisi».
«Ci siamo riuniti, ma nessuno sapeva bene cosa aspettarsi – ricorda il direttore sanitario di Ats Edoardo Majno– guardavamo alla Cina con preoccupazione. Prima del 31 gennaio, quando è stata proclamata l’emergenza in Italia, noi avevamo fatto già tre riunioni coinvolgendo il professor Grossi, infettivologo dell’ospedale. Pensavano persino che la nostra preoccupazione fosse eccessiva, ingiustificata».
MANCANZA DI PRESIDI
Invece, di lì a qualche settimana, la Lombardia ritrova nel pieno dell’emergenza, con pochissimi mezzi: « Non avevamo mascherine perchè, fino a quel momento, l’indicazione era di sostenere la Cina e quindi il materiale veniva inviato all’epicentro dell’emergenza» spiega il dottor Marco Magrini a capo dell’Ufficio tecnico di sorveglianza.
DIFFICOLTA’ INIZIALI
L’inizio della crisi porta uno scossone violento alla routine degli uffici dell’autorità sanitaria: la squadra delle malattie infettive passa da 5 operatori a 40, mentre si creano unità speciali per seguire i diversi segmenti.
Il monitoraggio dell’andamento epidemico, che tante critiche ha sollevato tra i sindaci per i ritardi nelle comunicazioni, avviene in prima battuta con un foglio di excel e solo a distanza di tempo si mette a punto un sistema operativo con una piattaforma condivisa: « Siamo stati costretti a rivedere tutta la nostra organizzazione in corsa – commenta il dottor Bulgheroni – tamponando una situazione ogni giorno più difficile. Negli uffici si lavorava fino a notte fonda, di sabato e di domenica per rispondere alle domande che arrivavano in continuazione. Una linea diretta era stata istituita per i medici di base fintanto che non è stato aperto il portale».
I NUMERI DELL’EPIDEMIA
Dal 22 febbraio, quando nel territorio si sono registrati i primi 10 casi positivi, Ats ha gestito le segnalazioni di 11.880 pazienti mentre i positivi in provincia di Varese sono stati 3920.
La settimana peggiore è stata quella tra il 4 e il 10 aprile quando vennero trovati 1291 casi mentre la scorsa settimana sono stati 90 (di cui 15 asintomatici o debolmente positivi con screening sierologico).
Attualmente in provincia di Varese ci sono ancora 900 casi seguiti ( aggiornato al 22 giugno) mentre sono quasi 2500 i guariti e oltre 500 i decessi.
I numeri, quindi, dicono che la provincia di Varese sia stata quella meno colpita in assoluto in Lombardia, la meno esposta insieme a Como e Monza Brianza. Un risultato frutto di diverse variabili ma, commentano sottovoce i dipendenti di ATS, forse anche grazie a una gestione dell’emergenza efficace: i 15 giorni di ritardo con cui il virus si è mosso ha permesso di mettere in moto velocemente la macchina gestionale creata fino a quel momento.
FOCOLAI NELLE RSA
Che ci siano state criticità nessuno lo nega: come la mancanza di dispositivi da consegnare ai medici di base, anche se forniture contenute sono avvenute sin dalla prima settimana di marzo, o quella dei tamponi nelle RSA che affrontavano focolai più o meno estesi: « Inizialmente, le disposizioni di Regione Lombardia prevedevano tamponi solo i determinate situazioni – spiega il dottor Marco Magrini – Ci arrivavano solo 300 tamponi alla settimana che dovevano coprire il fabbisogno totale. Solo dal 14 aprile siamo riusciti ad avere più tamponi e li abbiamo immediatamente distribuiti».
Nelle strutture residenziali i decessi causa Covid conclamato sono 206: « Un risultato che riteniamo positivo pur nella sua drammaticità – fa notare il dottor Maurizio Tettamanti Direttore della Unità Operativa Complessa Accreditamento e Controllo Sociosanitario – su 115 strutture, 66 sono state totalmente Covid Free di cui 36 in provincia di Varese».
IL SISTEMA DI CONTROLLO FUTURO
Oggi, con una situazione pandemica non più drammatica, Ats Insubria mette a punto il sistema di sorveglianza che sarà determinante per contrastare nuovi focolai: « Le situazioni critiche attuali sono ancora in alcune RSA ( ci sono 190 ospiti e 51 operatori ancora positivi nel Varesotto) e in nuclei famigliari singoli, con due o tre persone contagiate – spiega la dottoressa Donadini – La velocità e la capillarità delle indagini diventano fondamentali per tracciare tutti i contatti. L’App Immuni è uno strumento utilissimo. Nella prima settimana, solo due persone ci hanno permesso di sbloccare i codici per avvisare tutti i contatti. È uno strumento utile: il nostro monitoraggio si basa sulle dichiarazioni dei pazienti. Ma ci possono essere contatti sconosciuti che solo il tracciamento dell’App potrebbe svelare».
In questo momento, Ats Insubria monitora 42 focolai di cui 17 rilevati nell’ultima settimana che coinvolgono 109 persone mentre sono 196 quelle in sorveglianza attiva.
Il virus, quindi, non è sparito. Circola in modo minore e, sembrerebbe, con una carica virale inferiore: « Non è ancora il momento di rilassarci – ammonisce il dottor Bulgheroni – Continuiamo a rispettare le regole di sicurezza e a tenere le distanze. Tutti: operatori, esercenti e cittadini».
INDAGINI SIEROLOGICHE
Le indagini epidemiologiche si svolgono a pieno ritmo. Sul territorio allargato alle due province, la capacità è di 720 indagini al giorno: « Un ritmo in grado di mappare con velocità – commenta il dottor Magrini – purtroppo, non tutti si sottopongono al test perchè temono di rimanere bloccati in quarantena in caso di presenza anticorpale. Ma tra il risultato del sierologico e quello del tampone passano 48 ore».
ATS INSUBRIA E’ TROPPO GRANDE?
Nessuno si augura che l’emergenza ricompaia ma, nel caso di una nuova fiammata, oggi si è pronti: nei depositi ci sono dispositivi di sicurezza, tamponi, reagenti in quantità davvero sufficiente. Il personale c’è. Rimane il problema del territorio vasto e complesso che da più parti si ritiene una criticità: « Non è un problema di vastità del territorio di Ats Insubria – commenta il dottor Majno – ma di organizzazione. Certamente sarebbe opportuno riflettere sulla dimensione di questa esperienza pandemica alla luce dell’organizzazione messa in campo. Da qui passerà il controllo futuro».
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