Zang Tumb a Gallarate: quando i futuristi diedero spettacolo al Teatro Condominio

La sera del 14 luglio 1915 la città era in subbuglio: sul palco del teatro cittadino era in scena la furia vitale di un gruppo di soldati che erano pittori, musicisti, poeti, scultori

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Dev’esser stato un ben curioso spettacolo, quello andato in scena il 14 luglio del 1915, al Teatro Condominio di Gallarate: una serata futurista, animata da poeti, scrittori, artisti del movimento. Pronti a partire entusiasti per la guerra, che non sapevano sarebbe stata Grande. E di cui alcuni di loro non videro la fine.

L’episodio dei futuristi al Condomino di Gallarate spunta in alcuni libri di storia o articoli sulla Prima Guerra Mondiale: quel gruppo di futuristi era l’avanguardia in armi del fronte interventista, che nel giro di pochi mesi aveva travolto le resistenze di un’Italia dubbiosa e aveva trascinato in guerra un Paese riluttante, fatto di operai e contadini che non smaniavano per farsi ammazzare.

La comparsa di Gallarate, in quella vicenda, non è un accidente.
Inquadrati nel “Battaglione lombardo volontari ciclisti”, i futuristi passarono a Gallarate, allora in provincia di Milano, perché questa era sede di una grande caserma su viale Milano.

La caserma ospitava soprattutto reparti di cavalleria, nel solco di una tradizione che vedeva nella vicina brughiera della Malpensa il terreno ideale per cavalcate e manovre militari: gli ufficiali erano presenza stabile in città, anche se forse non vedevano l’ora di prendere il treno (già allora elettrico, unico in Italia) per andare fino a Milano a godere della bella vita.

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La metropoli, nella prima metà del 1915, ribolliva di manifestazioni interventiste (nella foto di apertura: “Rissa in Galleria” di Umberto Boccioni, particolare), che univano i rampolli della famiglie borghesi agli esuli delle terre irredente di Trento e Trieste ai cugini democratici che volevano spennare l’aquila austriaca simbolo del conservatorismo europeo. Ma c’erano anche gli uomini di popolo, gli anarchici e ai socialisti che sognavano di trasformare la guerra in rivoluzione contro il potere, come Filippo Corridoni. Il suo amico Benito Mussolini era invece stato espulso pochi mesi prima dal partito socialista e aveva fondato il “Popolo d’Italia”: redazione nei vicoli del popolarissimo, lercio quartiere di Bottonuto, ma sostenuta dalla grande borghesia.

I tumulti in galleria Vittorio Emanuele, i duelli con i neutralisti, gli incendiari proclami del Popolo d’Italia, i soldi degli Agnelli e dei fratelli Perrone proprietari dell’Ansaldo avevano avuto alla fine ragione della prudenza e il 24 maggio 1915 i primi fanti e alpini si mettevano in marcia per “liberare” le terre irredente dal dominio dell’impero austroungarico.

Giusto alla vigilia, il 23 maggio 1915, i futuristi arruolatisi volontari nel Battaglione Lombardo Ciclisti Automobilisti furono dotati del primo equipaggiamento alla caserma Teulié di Milano: il 31 di maggio raggiunsero la caserma di viale Milano a Gallarate, per prepararsi alla “igiene del mondo”, quel grande conflitto che Filippo Tommaso Marinetti sognava da tempo e che avrebbe dato una scossa all’Italia borghese, prudente e – secondo lui – rammollita dai fasti della Belle Epoque.

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Carlo Erba, “Carica di cavalleria, moto in avanti”, 1912-13

Il “Battaglione lombardo volontari ciclisti” nasceva dal “Corpo nazionale di volontari ciclisti ed automobilisti, fondato nel 1908. La bicicletta era allora, più che un mezzo di trasporto popolare, un vezzo della borghesia: l’idea del Corpo Nazionale era avere a disposizione un insieme di volontari – irredentisti e nazionalisti furono subito in prima linea – pronti a mettere anima, corpo e bicicletta (o automobile) per la Patria, quando questa avesse chiamato.

E i futuristi avevano risposto prima ancora che la Patria chiamasse. Mentre migliaia di diciannovenni contadini andavano alla guerra mal volentieri, i futuristi – che avevano più o meno tra i 25 e i 40 anni – trovarono nel Battaglione Lombardo l’occasione per gettarsi nella mischia volontariamente, per assaporare il Zang Tumb Tumb, la musica delle esplosioni.

Abituati ai composti ufficiali di cavalleria, forse anche gli abitanti di Gallarate si resero conto – tra giugno e luglio – dell’anomalia rappresentata dai furiosi futuristi. Di certo se ne accorsero al 5 luglio quando, quasi al termine dell’addestramento, gran trambusto ed eco sulla stampa fece la serata di commiato alla città, organizzata dai futuristi al Teatro Condominio, da dove già nel 1914 Cesare Battisti aveva chiamato a liberare la sua terra – il Trentino – dall’odiato dominio austroungarico.

Della serata al Condominio si sa che fu memorabile, nel senso che è rimasta – appunto – anche nella memoria fin qui. Fu replicata appunto il 14 luglio, una settimana prima della partenza, di fronte a un pubblico anche di milanesi richiamati dalle cronache della “prima”.

La foga futurista si scatenò subito per dare un aspetto di modernità anche al compassato Teatro, che era una tipica sala di provincia ottocentesca, realizzata con i fondi (appunto in “condominio”) messi dalle famiglie borghesi, commercianti e industriali cotonieri. 
In quella sera di luglio la sala si presenta così con una «decorazione sportivo-militare in una ridda orgiastica di colori, così cara al temperamento dei pittori futuristi che si sono sbizzarriti a caricaturizzare corse folli di moto, sgroppate di volontari ciclisti, motivi di ruote, cadute capitombolari, affannose riparazioni di macchine», riportava – con prosa futuristica – l’entusiasta articolo di Renzo Codara sulla Gazzetta dello Sport.

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Sul palco si alternarono improvvisazioni, performance, musiche futuriste. Il pittore Carlo Erba imitava le mosse del comico del cinema muto Edoardo Ferravilla, trascinava persone dal pubblico sul palco, per disegnarne poi la caricatura su grandi fogli.

Una settimana dopo il gran spettacolo al Condominio, il Battaglione Lombardo lasciò Gallarate, in bicicletta, diretto al fronte, anzi “alla fronte”, come si diceva allora.
Finirono però a lungo acquartierati tra le umide caserme (già austriache) di Peschiera e poi sul lago di Garda. Il “formidabile odio per Giolitti e per tutti i nemici d’Italia“ non si era ancora tramutato in combattimento, i Volontari dovettero attende fino a ottobre e finalmente ebbero l’occasione di sparare e – di lì a poco – morire. Anche se più che il nemico furono le intemperie delle cime dell’Alto Garda a piegare alcuni volontari (100 ammalati, dei quali 50 tornarono a casa).

Anche i futuristi però mostrarono il loro valore e versarono il sangue, anche se forse il sacrificio per alcuni non più cercato ma solo subìto.
 Morì a 34 anni Carlo Erba, inquieto figlio della grande borghesia milanese, che ventenne aveva rotto con il padre, per colpa di certe simpatie anarchiche, di una bomba rudimentale e della scelta di vivere di pittura: fu ucciso sull’Ortigara, le sue spoglie sepolte in tutta fretta non furono mai ritrovate, forse disperse dai successivi tiri dell’artiglieria austriaca.

Cadde “alla testa del plotone zappatori” all’assalto delle posizioni nemiche l’architetto Antonio Sant’Elia, “incitando con l’esempio e con la voce i suoi dipendenti, finché cadeva mortalmente colpito in fronte”. La morte lo consegnò alla dimensione del mito, lui che aveva disegnato visionarie città verticali e tecnologiche, che non avrebbe mai visto (Gianni Biondillo ha dedicato a lui un bel romanzo).  Reduce dalla prima operazione con il battaglione Volontari Ciclisti, Umberto Boccioni morì per un banale incidente, disarcionato da cavallo nei dintorni di Verona, dove il suo reparto si stava addestrando.

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La “città nuova” di Antonio Sant’Elia, 1914

Altri si salvarono, qualcuno mise da parte l’irruenza bellicosa e cercò nuove strade. Il compositore e pittore Luigi Russolo si rifugiò nelle filosofie orientali e nella metapsichica, dopo un lungo soggiorno a Parigi si rifugiò poi nel suo buen ritiro a Cerro di Laveno, sul lago Maggiore. Sironi e Funi trovarono una tranquilla sistemazione borghese negli anni del Ventennio, tra incarichi universitari e artistici.

Tommaso Marinetti uscì dalla Grande Guerra con due medaglie, divenne sodale di Mussolini e poi di D’Annunzio, se ne allontanò, tornò ad abbracciare la nascente dittatura e firmò il Manifesto degli Intellettuali Fascisti. E soprattutto non rinunciò alla guerra: dall’Africa alla tragica spedizione dell’Armir, c’erano altre guerre da combattere, altri giovani da trascinare, alla gloria o alla morte. Morì nel 1944, nel crepuscolo tragico del fascismo, che aveva portato la guerra ovunque, in Italia.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 14 Luglio 2020
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