Il precedente: l’assassinio di don Renzo Beretta a Ponte Chiasso nel 1999
L'uccisione di don Roberto Malgesini richiama alla mente un fatto molto simile accaduto a un altro sacerdote della diocesi di Como, "caduto in servizio" dopo aver lavorato a lungo a favore degli emarginati
L’uccisione a coltellate di don Roberto Malgesini, avvenuta alle 7 di mattina di martedì 15 settembre a Como, ricorda per molti versi un altro tragico fatto di cronaca che scosse l’intera diocesi, un territorio che oltre al Comasco, alla Valtellina e a parte della provincia di Lecco comprende anche le cosiddette “Valli Varesine”, ovvero la Valcuvia e la Val Marchirolo.
Nel gennaio di ventun’anni fa, era il 1999, a essere trucidato a coltellate fu un altro sacerdote che operava in città: don Renzo Beretta era parroco dal 1984 a Ponte Chiasso, quartiere di frontiera che si affaccia proprio sulla dogana con la Svizzera e anche per questo era luogo dove si radunavano e cercavano una sistemazione numerosi stranieri, spesso extracomunitari, spesso irregolari. Gente proveniente dal Maghreb e dall’Africa nera, dall’Est, dalla ex Jugoslavia (dove si era appena consumata la guerra civile)
Don Beretta – come don Malgesini oggi – era un sacerdote molto attivo nel campo dell’accoglienza, tanto da approntare nei locali della sua parrocchia alcuni ricoveri di emergenza per dare un tetto a emarginati, clochard, disperati. E fu proprio uno di loro, Abdel Lakhoitri un uomo di origine marocchina senza permesso di soggiorno, a colpirlo mortalmente nel pomeriggio del 20 gennaio. Il pretesto fu la richiesta di un prestito di denaro a cui don Renzo non acconsentì, l’epilogo fu il medesimo di quest’oggi in piazza San Rocco: un sacerdote impegnato fino in fondo alla causa degli ultimi, riverso a terra accoltellato a morte. «Lasciatemi piangere in silenzio un prete a cui ho voluto un gran bene» disse il vescovo di allora, Monsignor Alessandro Maggiolini.
Per sostituire don Renzo, Maggiolini chiamò a Ponte Chiasso l’allora parroco di Gemonio, don Remo Orsini, che ha ricordato il suo predecessore in occasione del ventennale della morte sulle pagine del Settimanale della Diocesi. «Furono particolarmente preziosi gli album in cui riportava articoli di vari giornali e sue riflessioni sulla vita della Chiesa, sulla politica, su fatti di cronaca. Per lui tutto questo non era “carta stampata” ma pagine di vita. Era prendere sul serio tutto: se stesso, ogni persona, le vicende della Chiesa, i fermenti della società… perché il Signore ci prende sul serio, e ci ha affidato un compito impegnativo davanti al quale non possiamo tirarci indietro». Un compito che è stato anche quello di don Roberto, sacerdote che non si è tirato indietro e che – come don Renzo – è “caduto in servizio”, nel tentativo di migliorare la vita dei più emarginati.
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