Valsecchi (Fim Cisl dei Laghi): “Questa volta l’Italia non può sbagliare”
Passaggio di consegne alla guida dei metalmeccanici della Cisl tra Paolo Carini e Caterina Valsecchi. "Mes e Recovery fund sono una grande opportunità"
«Lei è una tosta». Il primo datore di lavoro di Caterina Valsecchi, nuova segretaria della Fim Cisl dei Laghi, ha commentato così la notizia della sua elezione.
La storia di questa sindacalista, sembra quella di una predestinata. Dopo la morte improvvisa del padre, a soli 14 anni entra come operaia in una fabbrica meccanotessile di Lecco, quando quel distretto era ancora tra i più floridi d’Italia.
Una storia che inizia alla fine degli anni Settanta, anni in cui lo Stato è sotto attacco da parte dei terroristi e i lavoratori, e con loro i sindacalisti, sono chiamati a garantire la tenuta democratica del Paese. Lo scontro politico entra nelle fabbriche e il sindacato dei metalmeccanici – allora ancora Flm – deve far fronte a una stagione di pesanti ristrutturazioni. (Nella foto, da destra: Caterina Valsecchi e Paolo Carini)
«Erano anni duri – spiega Valsecchi – ma tra le organizzazioni sindacali c’era rispetto, competenza e solidarietà, mentre oggi prevale la conflittualità. La dimensione collettiva di un tempo è stata soppiantata letteralmente dall’individualismo e dalle rivendicazioni personali. Una situazione determinata dal contesto: se un tempo c’era l’operaio massa e la fabbrica, oggi c’è la polverizzazione del lavoro e la parcellizzazione dei bisogni. Insomma, è l’individuo che prevale».
Il passaggio di consegne tra Caterina Valsecchi e Paolo Carini, destinato al regionale della Fim Cisl, è segnato da una continuità di pensiero. Due generazioni diverse che però hanno vissuto con la stessa intensità il cambiamento del lavoro avvenuto con l’avvento della tecnologia digitale. «In fabbrica c’è stato un ribaltamento dei ruoli sociali – sottolinea Carini -. Oggi l’ultimo operaio della catena di produzione è più garantito rispetto ai nuovi precari, tra cui ci sono molti giovani laureati. È un fenomeno che il sindacato fa fatica a intercettare».
«Ormai il popolo del precariato ha raggiunto il cinquanta per cento della forza lavoro – aggiunge Valsecchi – e comprende le fasce più deboli della società. Lì c’è una battaglia da combattere perché c’è uno sfruttamento da parte del più forte». Come dire: c’è una nuova frontiera dei diritti che è ancora tutta da tracciare ed è su quella linea che il sindacato deve operare.
Per anni, dopo la crisi dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers, è stata condita in tutte le salse la storiella che la parola crisi in cinese, oltre al significato di pericolo, volesse dire anche opportunità. Un’interpretazione generosa frutto di una traduzione sbagliata. La crisi conseguente all’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus nelle sue drammatiche conseguenze ha però finito per generare realmente una grande opportunità rappresentata dai fondi europei Mes e Recovery Fund. «Sembra paradossale ma è così – dice Valsecchi -: quei fondi possono far svoltare il Paese. Hanno aperto spiragli che vanno coltivati in termini partecipativi e che anche Confindustria, con il senno di poi, sembra aver colto».
Dentro quell’opportunità ci sono tante sfide da affrontare per il cambiamento a partire dallo smartworking . «Le imprese, travolte dall’emergenza Covid-19, hanno gestito in proprio quel passaggio, senza il coinvolgimento del sindacato – spiega Carini -. La ragione sta nel fatto che in Italia prevale da sempre e a tutti i livelli la subcultura del controllo. In un contesto digitale e di sviluppo tecnologico bisogna superare questa impostazione, altrimenti limitiamo le possibilità che sono emerse in questa fase critica».
I soldi e la tecnologia da soli non risolvono i problemi se mancano una visione complessiva di Paese e un’effettiva partecipazione, necessarie per riequilibrare le responsabilità che vengono generate nelle relazioni industriali. «Il Governo ora ci deve ascoltare perché abbiamo delle proposte da fare – conclude Valsecchi -. Questa volta l’Italia non può permettersi di sbagliare».
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