Il Cammino Materano, lo splendore negli occhi e nel cuore
Da Bari a Bitetto passando per le Murge e le gravine fino alla piccola Betlemme. Il racconto di Rosario Marasco
Quando decidi di fare un cammino, che sia la via Francisca o Santiago o Materano o francigena, non c’è ostacolo che possa fermarti. Se hai deciso devi solo trovare l’occasione giusta per partire. Io l’ho trovata e il cammino materano ha avuto la meglio su altri per vari motivi. A partire dal fatto che con me avevo amici, quelli di una vita, quelli che continui a sentire anche senza vedere. Poi, il Cammino Materano è giovane, nato da poco ma con tante potenzialità (i famosi margini di miglioramento). Aperte due vie e in procinto di aprirne altre.
Bari – Matera è particolare perché la via Peuceta ti fa scoprire il patrimonio culturale apulo e lucano, costituito da chiese rupestri, da masserie, trulli, muretti a secco, e da una straordinaria gastronomia fatta di sapori genuini che rimandano all’autentica tradizione contadina. Sono sette tappe per 170 km da “senza fiato”.
Bari-Bitetto parto dalla città vecchia, costeggio il castello normanno-svevo e dopo pochi chilometri mi immergo nell’antica strada medievale che collega i due luoghi.
Bitetto-Cassano delle Murge ti fa penetrare nella foresta di ulivi simbolo della Puglia. Vigneti e mandorleti ti circondano con i muretti a secco che ti ricordano la vocazione agricola della sua gente.
Cassano-Santeramo attraversa il Bosco di Mesola carico di leccio, rovella, pino d’Aleppo e poi quello che la macchia mediterranea ospita, ossia quercia, mirto, corbezzolo e prugno spinoso. Sei nelle Murge.
Santeramo-Altamura ti porta invece nelle steppe dell’alta Murgia. Il contatto ottico-tattico con licheni, muschi, orchidee selvatiche ti fa sembrare di star sulla luna.
Da Altamura a Gravina si parte con il profumo del pane fatto con semola di grano duro cotto in forni di pietra antichissimi presenti nei “claustri”. E quando esci gli occhi vedono infinite distese di coltivazioni di grano, e sei tra la Murgia e la Fossa Bradanica. Attraversi un bosco e sei alle soglie di Gravina. Visito una gravina sotterranea, sono opere di grande ingegneria civile, abbandonate per anni e per fortuna rivalutate e fatte godere al turista.
Gravina in Puglia-Picciano dice fatica. Trenta chilometri che partono dal bellissimo ponte acquedotto in pietra del ‘700 che ti permette di raggiungere il pianoro della Madonna della Stella e da qui condurti alla collina del Botromagno risalente all’età Neolitica. Su questa collina si trovana Sidion una delle città più importanti della Peucezia (da qui via Peuceta) e purtroppo vedo testimonianze archeologiche in stato di abbandono. Continuo la mia tappa attraverso il complesso del Bosco Difesa Grande che mi porta alla Fossa Bradanica, dove ampie colline dal suolo argilloso mi ricordano il fiume Bradano. Venire qui nelle stagioni di mezzo significa far godere gli occhi con colori splendenti. E ora salgo salgo, salgo verso la collina di Picciano che dopo il suo borgo mi porta al santuario benedettino.
Picciano-Matera segna l’ultima tappa di un cammino che vorresti non finisse mai. Mi addentro nella piana di tufo in cui sorge Matera. Il pellegrino non può far altro che ammirare la straordinaria bellezza dell’habitat rupestre. Vedi lì Matera così vicina ma il sentiero ti allontana da lei per farti godere, ancora, pian piano i dirupi e le grotte che con le loro tracce ti parlano della presenza dell’uomo dalla preistoria fino a oggi. Costeggio una diga che scopro essere il lago di San Giuliano, e sono in una delle più importanti zone umide della Basilicata. E mentre vedo cartelli stradali che ricordano “Basilicata coast to coast” faccio partire Mentre dormi di Max Gazzè e cantiamo. Intanto mi sono avvicinato alla città, la sento, la vedo ma l’ingresso avviene dopo un’ultima salita di tre km che spezza le gambe. Ma ho scelto di fare il cammino e non voglio fermarmi. E non mi fermo e raggiungo la Cattedrale della Madonna della Bruna nell’incantevole zona dei sassi. E ora voglio il testimonium.
Il cammino dovrebbe terminare ma la sola idea di non vedere quella che dicono essere una piccola Betlemme mi ringalluzzisce e allora, se trenta chilometri non son bastati, cammino ancora. Una irta discesa, un ponte tibetano e una salita pericolosa mi portano, dopo altri sei chilometri, al belvedere di Murgia Timone. È l’imbrunire e nonostante un vento fastidioso riesco a vedere la città illuminata. E piango.
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