L’area dismessa dell’Isotta Fraschini di Saronno è un bene comune che guarda all’Europa

Oltre 120 mila metri quadrati di cui 65mila di verde e un bosco intatto da quasi 60 anni. Un'enorme enclave nella città che potrebbe diventare un esempio di architettura rigenerativa e una grande occasione di rilancio per il territorio

Economia generiche

Se oggi il Made in Italy viene considerato uno dei patrimoni, in termini economici e di reputazione, di questo Paese, il merito va a quei marchi e prodotti del manifatturiero italiano che hanno contribuito a crearlo nel tempo. Uno di questi è stata la fabbrica automobilistica Isotta Fraschini, dai nomi dei due ingegneri fondatori, Cesare Isotta e Vincenzo Fraschini, che tra la fine dell’800 e fino alla prima metà del secolo scorso è stata tra i principali ambasciatori dell’italian style in tutto il mondo. Le sue automobili erano ambite da personaggi famosi e collezionisti, tra cui spiccano i nomi di Gabriele D’Annunzio, Italo Balbo, Rodolfo Valentino e Umberto di Savoia.

Di quella gloriosa storia industriale oggi rimane un’enorme aera dismessa, il quartier generale dell’Isotta Fraschini, che rappresentò per la città di Saronno una leva di sviluppo economico-sociale importante. Un’enclave costellata di edifici  industriali, tra cui il primo stabilimento di automobili datato 1880, che si estende per 120mila metri quadrati di cui 65mila di verde, con un bosco inesplorato e intatto da oltre mezzo secolo. Su quest’area, che è ferma ormai da trent’anni, c’è un progetto di rigenerazione a bene comune, coordinato dal proprietario Giuseppe Gorla, intervenuto a TrainIng, il programma di formazione dell’Ordine degli ingegneri di Varese.

Il progetto coinvolge urbanisti, architetti, naturalisti, city manager, ambientalisti, agronomi e anche costituzionalisti. «Siamo partiti dalla storia di questo luogo – ha spiegato Gorla – dove si lavorava e si faceva formazione professionale di alto livello. Il progetto comprende un polo museale e uno universitario, che recuperi la residenzialità tipica della corte lombarda».
A chi sospetta una speculazione Gorla risponde con chiarezza: «Siamo dei civil servant che lavorano in piena trasparenza e in continuo dialogo con la cittadinanza perché sentiamo il dovere morale di dare un ritorno al contesto sociale in cui viviamo e da cui abbiamo avuto molto. I soldi, se non c’è una vision, non servono».

Durante l’intervento di Gorla, è stato trasmesso il video messaggio dell’architetto Cino Zucchi, ordinario di progettazione architettonica e Urbana al Politecnico di Milano e visiting professor alla Harvard graduate school of design. L’architetto ha analizzato il passaggio dal taylorismo, in cui la produzione era l’elemento cardine caratterizzato da una logica autonoma, a un pensiero rifondativo, cioè qualcosa di nuovo che superi il concetto di espansione urbana, tipico del secolo scorso, per puntare a una rigenerazione e modificazione interna degli spazi esistenti. «Queste aree – ha detto Zucchi – che si trovano per lo più in aree importanti o in centri storici consolidati, offrono occasioni. Al cadere della loro funzione ci ritroviamo con questi grandi recinti quasi impenetrabili, come se la fabbrica rispondesse a un’organizzazione militare, anche esisteva uno scambio con un territorio allargato. In Italia la fabbrica si era sostituita a un territorio rurale e quindi la caduta della sua funzione è stata forte, generando degrado sociale e fisico. Per paradosso oggi queste aree, che sono proprietà indivise, di grandi dimensioni e in posizioni straordinarie, sono diventate un’opportunità».

Se il secolo scorso è stato il secolo dell’espansione urbana, questo è il secolo della sua modificazione dall’interno, realizzabile, secondo Zucchi, attraverso un mix di recupero di edifici esistenti con nuove funzioni e nuovi modelli di spazio pubblico legati al verde. Guardando all’Europa, sono tanti gli esempi importanti e interessanti nella rigenerazione legati agli scali ferroviari o ai centri fieristici. Interventi realizzati a Londra, Lione e nella stessa Milano.
«Viviamo in una città diffusa, fatta di villette e centri commerciali – ha concluso l’architetto – ma quando vogliamo stare insieme ci riversiamo nella città storica, nei centri cittadini.  Un concetto che è da rivedere è quello della separazione funzionale, in favore di una mixité funzionale. Ci possono essere spazi molto ben definiti che danno un senso di protezione, ma che non prescrivono dei comportamenti. Durante il lockdown ripetevo che là fuori c’era una città che ci aspettava. Una panchina può ospitare un cyberpunk, delle signore pettegole, due innamorati che si sbaciucchiano o un solitario esistenzialista. Non è la panchina in sé a determinare quel comportamento ma è solo ben orientata al sole e vicino a un albero».

Le aree dismesse in provincia di Varese valgono 380 milioni di euro

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

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Pubblicato il 12 Ottobre 2020
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