“Il ‘Carpe diem’ di Orazio ci aiuti a superare l’angoscia di questa pandemia”
È come essere in guerra, con uno stato di ansia e paura costanti di cui non si vede la fine. Il dottor Cioffi, già primario della psichiatria del Verbano, legge le difficoltà del momento a cui consiglia di rispondere con maggior leggerezza

C’è chi si volta dall’alta parte, chi nega, chi non riesce a staccare l’attenzione, chi ne è sopraffatto. Questo anno terribile ci ha messo di fronte a una sfida che, oltre a essere sanitaria, è stata, è e sarà anche psicologica.
« È come essere in guerra – commenta il dottor Isidoro Cioffi fino all’estate scorsa Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asst Sette Laghi e ora in pensione – una situazione di ansia e angoscia continua di cui non si vede la fine. Ed è proprio non sapere quando potremo riacquistare la nostra normalità a creare angoscia e smarrimento. Durante la prima ondata, avevamo un orizzonte più o meno certo che era l’estate: abbiamo tutti rispettato obblighi e privazioni in vista di giorni migliori. Poi è arrivata la bella stagione e subito dopo la seconda ondata pandemica che ci ha messo di fronte alla difficile verità: non ne siamo fuori. E questa fiducia svanita ha creato la difficoltà con cui si convive oggi. Non siamo più in presenza di un raffreddore o un’influenza che ben conosciamo, ma di una malattia dagli sviluppi imprevedibili e questo ci costringe a tenerci costantemente controllati in ogni possibile sintomo che ci capita. Uno stato di ansia perenne che mina la stabilità».

( il Dr Isidoro Cioffi)
Anche l’arrivo di un vaccino non ci permetterà di porre la parola fine a questa condizione: « Sappiamo che ci offre un’immunità ma che non durerà a lungo – fa notare il dottor Cioffi – E la nostra quotidianità continuamente mutata da nuove restrizioni e successive aperture non facilita la chiarezza. C’è grande confusione, il battibecco scientifico non migliora il clima e i provvedimenti contrastanti disorientano».
Senza citare nessun caso specifico, il dottor Cioffi sottolinea che le liti tra studiosi e specialisti, che normalmente sono il sale del progresso nei contesti scientifici, riportati nella quotidianità incrinano una delle certezze degli italiani: la fiducia nella sanità: « Si sente tutto e il contrario e questo indebolisce un legame fondamentale perchè le persone hanno bisogno di credere nei medici e negli infermieri a cui affidano ciò che hanno di più prezioso. Indebolire il legame ingenera ansia, depressione e smarrimento».
Come uscirne? « Ispirandosi al “Carpe diem” di Orazio. Guardare alle piccole gioie quotidiane, a ciò che ci piace e ci fa star bene, distogliere lo sguardo da quanto ci preoccupa. E, soprattutto, smetterla di guardare troppo lontano, un futuro cupo e pieno di ostacoli, e ascoltare il fruscio della foresta che cresce. Mantenere i contatti con gli amici e i famigliari, con tutti i sistemi tecnologici a nostra disposizione così da non sentirci isolati. La più grande angoscia è quella di sentirsi soli».
Un isolamento che pesa anche su bambini e ragazzi: « Vivere la socialità è un modo di crescere e quindi isolarli vuol dire togliere una fetta di esperienze fondamentali. I nostri ragazzi però non sono così deboli e una parte di relazioni digitali sono in grado di gestirla. Ma non tutta».
Confusione e smarrimento spesso portano anche a negare la pandemia: « Assistiamo anche a questo tipo di atteggiamento che è una difesa naturale, ma pericolosa. Lo fanno anche le persone dipendenti dall’alcol, non ammettono il loro stato perchè è più comodo negare piuttosto che affrontare una realtà sgradita. Diverso è il caso di chi è costretto a non ammettere o a sottovalutare per ragioni di sostentamento economico: qui si è consapevoli della situazione e si fanno scelte mirate, nulla a che fare con una debolezza psicologica».
Socialità ma anche fisicità sono le due grandi perdite di questo anno terribile: « Mi sono fatto promotore di un’iniziativa per far dichiarare baci e abbracci patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Per noi italiani, la possibilità di essere vicini e dimostrare con i gesti il nostro affetto è fondamentale, fa parte della nostra cultura. Questo periodo ha snaturato il nostro modo di essere. E questo ci fa male».
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