Corruzione nel carcere di Busto Arsizio, Lo Presti non parla e chiede i domiciliari

L'assistente capo della Penitenziaria è in carcere da lunedì con l'accusa di aver favorito alcuni detenuti con permessi e lavori fuori dal carcere. Il garante Tosi: "Quando ho capito cosa succedeva ho parlato col suo comandante"

Apre lo sportello del Garante regionale dei Detenuti in carcere a Busto

Si è avvalso della facoltà di non rispondere Dino Lo Presti, l’agente di Polizia Penitenziaria del carcere di Busto Arsizio, finito agli arresti insieme ad altre sei persone nell’ambito dell’inchiesta Freedom condotta dalla Procura della Repubblica di Busto Arsizio insieme a Guardia di Finanza di Varese e Polizia Penitenziaria di Busto Arsizio. Ieri era stato il turno di Monica Guanzini della cooperativa “La mia voce ovunque” che, assistita dall’avvocato Cristian Bossi, ha risposto alle domande del giudice ma ha respinto ogni accusa.

Lo Presti, attualmente detenuto a Bollate e difeso dall’avvocato Francesca Cramis, ha deciso di non rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari ma attraverso il legale hapresentato con un ricorso al Tribunale del riesame per ottenere gli arresti domiciliari per motivi di salute: «Le sue condizioni di salute sono incompatibili con il carcere. Lo Presti è immunodepresso e il rischio di contagio da covid in carcere è molto alto» – ha commentato l’avvocato Cramis.

Le accuse nei suoi confronti sono numerose e vanno dalla corruzione alla ricettazione. Gli inquirenti sono convinti che l’assistente capo avesse messo in piedi un vero e proprio sistema all’interno della casa circondariale di via per Cassano attraverso il quale, dietro pagamento di una somma di circa 3 mila euro, alcuni detenuti avrebbero beneficiato di permessi, opportunità lavoro dentro e fuori dal carcere, semilibertà grazie alla sua forte influenza nel settore trattamentale del carcere dove sarebbe riuscito ad ottenere relazioni “aggiustate” che hanno permesso a chi aveva disponibilità economiche di usufruire di vantaggi non indifferenti per chi vive ogni giorno la realtà carceraria.

Secondo il suo legale, comunque, Lo Presti sarebbe più che altro un millantatore: «Da quanto sono riuscita a ricostruire fino ad ora emerge certamente qualche reato ma certamente non nella misura in cui è stato dipinto. Lo Presti non ha un soldo, anzi non mancherebbero rate di finanziamenti da pagare – spiega la Cramis – il suo conto è vuoto. Aveva rapporti con ex-detenuti, certamente, ma quando lavori 8 ore al giorno in un carcere è più che normale avere rapporti con ex-detenuti». Secondo la Procura, però, a Lo Presti sarebbero stati sequestrati valori per 30 mila euro.

Il suo ruolo all’interno del carcere era pervasivo. Il pelato, come lo chiamavano i detenuti, avrebbe anche gestito (attraverso un’altra cooperativa) anche la panetteria del carcere che poi è stata improvvisamente chiusa per motivi oscuri. Da quanto abbiamo appreso nelle settimane precedenti alla chiusura alcuni detenuti che vi lavoravano avevano rappresentato al garante comunale Matteo Tosi che a fronte di giornate lavorative da 8 ore, i dipendenti venivano retribuiti per 3 ore: «Quando sono venuto a conoscenza del problema l’ho fatto presente in area trattamentale e dopo qualche settimana il panificio ha chiuso i battenti» – e i macchinari sarebbero stati venduti proprio da Lo Presti, attraverso uno degli ex-detenuti coinvolti nell’inchiesta.

I rapporti tra Matteo Tosi e Lo Presti non sono mai stati buoni e spesso le sue iniziative venivano boicottate all’interno del carcere, come nel caso del laboratorio di stampa di t-shirt che Tosi era pronto a far entrare in carcere con tanto di macchinari: «Lo Presti era andato a parlare con la mia socia per farmi fuori e portare il laboratorio, che attualmente è a Novara, dentro le mura del carcere di Busto».

Secondo Tosi il potere di Lo Presti sarebbe cresciuto nel lungo anno e mezzo in cui l’area trattamentale del penitenziario è rimasta sguarnita, senza un responsabile in sostituzione della storica e oggi pensionata Rita Gaeta e senza educatori interni: «In quel periodo le relazioni venivano preparate da educatrici che venivano da altre carceri e che non potevano avere contezza nel particolare del comportamento dei detenuti di cui scrivevano. Rimango convinto che l’unico modo per tutelare i detenuti è quella di avere un’area trattamentale con il personale necessario e più agenti di Polizia Penitenziaria». Va da sè che l’unico “titolato” a parlare del comportamento dei detenuti fosse proprio l’assistente capo Lo Presti che, in questo modo, avrebbe avuto tutte le opportunità per favorire chi pagava.

Chi non poteva permetterselo? Tosi racconta: «Uno dopo l’altro i detenuti mi dicevano la stessa cosa: non vado più in area trattamentale perchè non ho soldi per pagare. Si erano arresi all’evidenza senza denunciare perchè fa parte del codice non scritto del carcere». A quel punto Tosi, anche se non aveva in mano nulla di concreto, è andato a parlare di quanto stava avvenendo con il comandante della Polizia Penitenziaria Rossella Panaro: «Prima di tutto vorrei sottolineare che il carcere, con tutte le sue articolazioni, ne esce comunque bene e ho sempre avuto massima fiducia nella Polizia Penitrenziaria. Per questo mi sono rivolto alla comandante una prima volta per raccontargli cosa sapevo e ricordo che mi disse che la situazione era più grave del previsto poi mi ha riconvocato una seconda volta mentre una terza convocazione è arrivata dalla Guardia di Finanza, alla quale ho raccontato tutto quello che sapevo. Ora spero che i giudici gli concedano gli arresti domiciliari perchè è una persona malata».

 

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 17 Dicembre 2020
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