Il delitto di Busto Arsizio
E’ stato pubblicato “Il delitto di Busto Arsizio”, il libro di Roberto De Nart che racconta l’incredibile vicenda di Silvia Da Pont, la giovane cameriera di Cesiomaggiore (Belluno) fatta morire nel 1951 dall’insospettabile cavalier Carlo Candiani
E’ stato pubblicato “Il delitto di Busto Arsizio”, il libro di Roberto De Nart che racconta l’incredibile vicenda di Silvia Da Pont, la giovane cameriera di Cesiomaggiore (Belluno) fatta morire nel 1951 dall’insospettabile cavalier Carlo Candiani. Fu un caso di cronaca giudiziaria che occupò le prime pagine dei giornali dell’epoca. Se ne occuparono anche cronisti di razza del calibro di Mario Cervi ed Egisto Corradi.
E magistrati importanti come il dottor Dante Maccone, presidente delle Assise ordinarie di Milano, che diresse processi di rilievo tra cui quello ai responsabili dell’Eccidio di Schio del 6 luglio del 1945, e il dottor Giovanni De Matteo, pubblico ministero del celebre processo a Caterina Fort e al bandito Barbieri.
E gli avvocati bellunesi delle parti civili Ugo Della Bernardina e Doglioni. Silvia Da Pont ha 21 anni quando viene trovata morta il 28 ottobre 1951 a Busto Arsizio, nella cantina della villetta in via Galilei n.3 dove lavorava come domestica dalla famiglia di Adelchi Nimmo, dipendente della compagnia aerea TWA. Di questa povera ragazza conosciamo i dettagli dalla testimonianza resa dal padre Antonio Da Pont boscaiolo di Cesiomaggiore, la madre Adelina Bortolas domestica e poi casalinga, e la sorella maggiore Maria, babysitter a Zurigo. Sarà quest’ultima a dare impulso alle indagini, poi condotte dal capitano Mongelli, comandante dei carabinieri di Busto Arsizio, che individua subito il colpevole e lo porterà alla sbarra. E’ il settantenne Carlo Candiani, due volte vedovo, ex commerciante di macchine per cotonifici, appassionato di farmacologia ed erboristeria che abitava nella stessa villetta di sua proprietà dove lavorava Silvia.
Dino Buzzati scriverà che il Candiani l’ha “tenuta nascosta, come una sorta di bambola vivente tutta per sé per oltre un mese e mezzo alimentandola solo con qualche cucchiaino di vino e latte”. L’Orco di Busto Arsizio, come lo chiamò Pacifico Fiori, inviato speciale del Corriere della Sera, firmerà la confessione, poi ritratterà e negherà fino alla fine. Sarà condannato a 25 anni in Assise, poi ridotti a 14 in Appello e a 13 in Cassazione, e morirà nel carcere di Parma nel 1957. L’omicida dunque è il distinto signore della porta accanto, un uomo ritenuto perbene, che per salvare la propria reputazione decise di lasciar morire la ragazza che avrebbe potuto avere salva la vita.
Foto
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Felice su Giovane ferito a Gallarate con taglierino, indagini della polizia
elenera su Ritrovata Efra, la cagnolina dispersa in Val Grande
Viacolvento su Il divieto serale di vendita e consumo di alcolici per strada a Varese diventa permanente
Fabio Rossi su Il divieto serale di vendita e consumo di alcolici per strada a Varese diventa permanente
Castegnatese ora Insu su Auto contromano nella rotonda di largo Flaiano a Varese, l'assessore: “Nuovi cartelli per evitare errori”
Albi.63 su A Pietro Broggi la borsa di studio della Famiglia Legnanese
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.