La storia del deportato Vincenzo Aquilina: “Mi puntarono una pistola alla testa perchè ero stremato”
Alla commemorazione (in forma ridotta) del Giorno della Memoria è intervenuto un ex-ufficiale della Guardia di Finanza che ha raccontato i suoi due anni da prigioniero in un campo di concentramento

Questa mattina, mercoledì, si è svolta la cerimonia in forma ristretta del Giorno della Memoria, organizzata dall’amministrazione comunale. La commemorazione si è tenuta in forma ristretta a causa delle misure anti-covid, con la sola partecipazione del sindaco Emanuele Antonelli, del suo vice Manuela Maffioli, del presidente del Consiglio Comunale Valerio Mariani e dei rappresentanti delle associazioni che si occupano di memoria.
Dopo la deposizione delle corone di fiori al monumento di via Fratelli d’Italia e a quello dedicato ai caduti nei lager, è intervenuto l’ex-ufficiale della Guardia di Finanza Vincenzo Aquilina, deportato nel campo di Moosburg con il numero di matricola 121894 dopo l’8 settembre 1943 (data dell’armistizio di Cassabile): «Avevo 18 anni ed ero di stanza a Roma. Insieme ad altri soldati italiani fui venduto dai nostri superiori ai tedeschi che ci caricarono sui treni piombati per spedirci in un campo di concentramento nel sud della Germania chiamato Stalag VII-A. Furono 2 anni terribili di lavori forzati – racconta – ad un certo punto non avevo più le forze e insultai un soldato tedesco che mi diceva di lavorare di più, mi puntarono una pistola alla tempia ma fui salvato da un ufficiale all’ultimo momento».

Vincenzo Aquilina, 96 anni e una tempra tipica di chi ha visto l’inferno, racconta della sua liberazione: «Arrivarono gli americani il 25 aprile del 1945 e uscimmo dal campo. Io e altri compagni percorremmo 110 km a piedi, fino a Innsbruck dove venimmo rifocillati sempre dall’esercito americano». A quel punto una lacrima solca il suo volto che rimane comunque fiero, davanti al sindaco Antonelli e al capannello di invitati alla cerimonia che non smettono di ascoltare.
Aquilina conclude il suo racconto amaro: «Per molti anni siamo stati dimenticati dall’Italia e non ricevemmo neanche le 5 mila lire di indennità che ci erano state promesse. Solo il presidente della Repubblica Sandro Pertini volle incontrarci e riconobbe il dramma che abbiamo vissuto».
Nato ad Agrigento nel 1924 ha dedicato la sua vita a servire lo Stato nella Guardia di Finanza. A Busto Arsizio ci è arrivato per prestare servizio nei comandi della zona e qui è rimasto, una volta andato in pensione. Questa mattina è arrivato alla cerimonia anche se non invitato (per questioni di età) ma la sua presenza ha dato un senso ad un momento svuotato del suo senso più profondo, senza i ragazzi delle scuole che ogni anno la animano grazie al tavolo della memoria che mette insieme Anpi, amministrazione e scuole superiori. Un contributo riconosciuto anche dal sindaco che lo ha ringraziato per la sua presenza.
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