Da medico eroe a paziente grave: la battaglia del dr Cannavò contro il Covid19
Dopo aver lottato per lunghi mesi al fianco di pazienti Covid, a fine anno si è ammalato. La malattia lo ha colpito in forma molto grave e lui ha avuto paura
Era stato uno dei protagonisti della primavera scorsa. Di turno in pronto soccorso all’ospedale di Cremona, accolse e salvò il giovanissimo Mattia, appena 18 anni, arrivato con i polmoni compromessi dal Covid. Il dottor Massimo Cannavò chirurgo oncologico dell’ospedale di Cittiglio, il 27 dicembre scorso è passato improvvisamente dalla parte degli ammalati.
« Ho iniziato con un malessere generale, qualche linea di febbre e stanchezza – spiega il dottor Cannavò – Ma non pensavo al Covid, non potevo permettermi di ammalarmi. Ho reputato che fosse solo la fine di tre mesi intensi e difficili, dove la mia azienda ospedaliera era stata sotto pressione e io, come tutti i miei colleghi, avevo affrontato turni estenuanti cercando sempre di dare il massimo». Una quotidianità fatta, però, di attenzione a non infettarsi perché aveva ben capito quanto quel del virus fosse pericoloso. Doppio paio di guanti, doppia mascherina, tuta biologica, soprascarpe. Eppure, è bastato un attimo, una leggerezza e anche il chirurgo è diventato vulnerabile.
« Quando il termometro ha raggiunto i 40 gradi, ho capito di essere rimasto contagiato e il tampone lo confermava – ricorda il medico – All’inizio, però, mi sentivo bene, nonostante la febbre così alta. Il terzo giorno, il mio corpo ha iniziato ad accusare il colpo: il fiato è diventato all’improvviso corto. Non riuscivo più a respirare. I miei colleghi hanno attivato subito il soccorso: era già stata fissata l’ambulanza e il posto letto con la Cpap. Ma ho avuto paura. Paura di lasciare la mia casa, mia moglie e mio figlio. Ho rivisto gli sguardi impauriti delle persone che avevo assistito in questi mesi. Ho chiesto di poter rimanere nel mio letto. L’ho potuto fare solo perché sono medico e perché sapevo esattamente cosa andava fatto».
I colleghi non lo hanno abbandonato, gli hanno portato le medicine, le bombole dell’ossigeno. Saranno proprio queste bombole a salvargli la vita: « La notte era il momento più duro. Con il buio la pura aumenta. Mi ritrovavo solo, a controllare il respiro: mi concentravo su questo gesto così semplice ma così importante. Mi obbligavo ad ascoltare l’aria che entrava nel mio corpo e poi usciva. La saturazione era sempre bassa: non avevo forze a cui aggrappami se non il ritmo del mio respiro».
Nei 15 giorni difficili, il dottor Cannavò ha applicato su di sé tutte le tecniche attuate in reparto: « Una notte mi sono messo a pancia sotto, con la testa penzoloni. Sapevo che faceva bene, i polmoni riuscivano a ricevere meglio l’aria. Così la saturazione risaliva. Era tutto surreale, mi sembrava di vivere sospeso. Non riuscivo a mangiare perché ogni energia doveva concentrarsi sul respiro».
Alle fine di un tempo lunghissimo, la malattia inizia a regredire: « Ero ormai senza forze, non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto. Mi ero sempre chiesto come mai anche Mattia fosse stato dimesso dall’ospedale di Cremona in carrozzina, lui così giovane. Ora capisco: tutto il corpo ne esce profondamente provato e recuperare è un percorso lento che richiede grande pazienza».
Lo scorso 20 gennaio, il dottor Cannavò si è sottoposto a un’ecografia che ha mostrato evidenti i segni sui polmoni, segni che dovrà superare con lunghe sedute di fisioterapia respiratoria: « Un’esperienza davvero pesante. Mentre stavo male e combattevo per difendere il mi respiro, mi tornavano in mente le voci di chi nega questa malattia, di chi la sottovaluta. E mi sono arrabbiato: io ero in quel letto per aver fatto il mio lavoro, per aver soccorso e aiutato tanta gente sofferente. Non meritiamo che la gente neghi i nostri sforzi».
Al fianco del dottor Massimo, durante i lunghi giorni di malattia, sono tante le perone che hanno voluto dargli forza, con messaggi, telefonate, incoraggiamenti. Anche Mattia ha tifato per lui: « Mi dava coraggio ed è stato commovente. Solo chi ci è passato può capire fino in fondo. Ringrazio davvero tutti: la solidarietà è stata una medicina per il mio spirito. Ora voglio solo tornare alla mia normalità, alla mia vita che so di dover vivere apprezzando ogni attimo. Perché basta pochissimo a cambiare tutto».
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