Nel laboratorio del Circolo individuata la variante scozzese poco sensibile agli anticorpi del Covid
La circolazione delle varianti nel Varesotto è confermata dal laboratorio del professor Maggi che ha individuato anche la mutazione definita "scozzese". Attualmente si tratta del 17% dei casi totali
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Nel laboratorio di microbiologia dell’ospedale di Varese sono passate tutte le varianti del SarsCoV2. Prima quella inglese, poi quella brasiliana, la sudafricana e ora la scozzese. Al professore Fabrizio Maggi, primario del laboratorio , quel termine proprio non piace: « La variante è stata identificata per la prima volta in Scozia nel marzo 2020, ma il suo nome scientifico è “lineage B1258”. Effettivamente, abbiamo individuato la mutazione N439K anche nel nostro laboratorio, in uno dei sequenziamenti eseguiti sui tamponi che analizziamo quotidianamente».
Fino ad oggi, il professor Maggi e la sua equipe hanno isolato una variante sudafricana e una brasiliana che sono rimaste limitate ai due viaggiatori. Sicuramente sono più numerose quelle inglesi: « Dal mio osservatorio non vedo una concentrazione anomala in aree particolari. Diciamo che il Varesotto è in linea con il dato nazionale, pubblicato proprio ieri dall’Istituto Superiore di sanità: la variante inglese rappresenta circa il 17% dei tamponi».
Il laboratorio di microbiologia del Circolo è una sentinella: è all’interno della rete nazionale e indaga anche in modo randomizzato su alcuni campioni particolari: « Oltre a indagini mirate in presenza di dati epidemiologici particolari o collegamenti diretti ( come nel caso di Viggiù) – spiega il docente di microbiologia dell’Università dell’Insubria – ogni 15/20 giorni sequenziamo alcuni campioni particolari, dove la carica virale è più elevata. La mutazione N439K, quella definita scozzese, appare, al momento, meno aggressiva e contagiosa ma poco sensibile agli anticorpi creati dalla malattia precedente. Gli studi sono iniziali ma qualche recidiva è stata trovata proprio con la mutazione, piuttosto che la malattia arrivata dopo la vaccinazione».
Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università degli Studi di Trieste e Irccs “Burlo Garofolo” di Trieste in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, il virus avrebbe una maggiore capacità di di infettare la fascia di popolazione infantile, fino ad ora rimasta meno esposta.
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