A Orino cittadini e Università danno vita all’ecomuseo
Il recupero di spazi per “far parlare“ luoghi ricchi di sapienza e manualità- Un percorso inclusivo dall’alto valore scientifico

Il professore che studia, il residente che aiuta, il turista (ma anche la nuova generazione) che impara.
Luoghi che parlano. Cultura popolare che trova casa in strada.
Il progetto di “ecomuseo”, sbocciato a Orino, promosso dall’amministrazione comunale e realizzato in collaborazione con l’Università dell’Insubria è un esempio di valorizzazione della cultura locale sfruttando le ricchezze del posto: storie tramandate dai nonni che raccontavano della “schelcia“, o “svizzera da montagna“, slitta che serviva per trasportare modesti quantitativi di legname giù dalla montagna innevata frenando coi piedi (nella foto qui sotto).

Oppure la “cavra”, quella panca robusta dotata di un braccio utile alle lavorazioni nella bottega del falegname (che si trova nella cantina della chiesa «della Gesa», foto d’apertura). Il progetto, nato nel 2015 prevede la valorizzazione di quattro cantine debitamente recuperate e allestite come botteghe artigiane dove è possibile approfondire, oltre alle spiegazioni che si trovano sul posto, anche attraverso QR – code.
Scrive Paola Castiglioni, dottoressa in Analisi e Gestione delle Risorse Naturali dell’Insubria nella relazione tecnica del progetto: «Gli ambienti sono stati ripuliti con recupero, ove possibile, delle pavimentazioni in beole. La riscoperta dell’architettura degli interni ha permesso di rintracciare meglio la vocazione originaria degli spazi. La ri-distribuzione degli oggetti e delle testimonianze di cultura materiale nelle cantine è avvenuta al fine di destinare ogni luogo ad un area tematica specifica, costruendo un percorso di visita il più possibile fedele alla vocazione e all’architettura interna degli spazi. La ricerca di una corrispondenza tra area tematica ed architettura dello spazio espositivo, ha richiesto numerosi spostamenti. Si è cercato di realizzare luoghi narranti, con spazialità pensata per essere vissuta attivamente dal visitatore, dove gli oggetti-simboli, protagonisti, si possano raccontare. Gli spazi espositivi sono stati ri-organizzati considerando in modo ecosistemico le quattro “cantine” come luoghi interconnessi».
Il progetto è molto interessante perché partecipato: la ricostruzione dei luoghi è avvenuta grazie alla memorialistica del posto e molti degli oggetti visibili nell’ecomuseo sono stati non solo ceduti, ma anche fisicamente trasportati dagli stessi residenti che hanno deciso di prestare piccoli e grandi gioielli di famiglia da destinare alla crescita culturale di tutti.

Si scopre così che a Orino un tempo veniva coltivata la vite e si realizzava dell’ottimo vino nella cantina del Fael dove ancora ogi tini e tramogge fanno da sfondo all’antica tradizione del coltivare, e bere bene (foto sopra).
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