Orino e le suggestioni di un borgo che cambia, viaggio nel paese degli abbonati
Il boom dei detersivi sfusi nel paese dei lavatoi. Il macellaio confessore e l’enigma della polenta. Viaggio fra i segreti dei “duri e puri“ sostenitori di varesenews
Un vecchio circolo – “La Pace” – trasformato in alloggi di charme che ospitano turisti da tutta Europa con camere occupate anche in pandemia da un pubblico italiano affascinato dai muri vecchi tirati a nuovo dove il deposito dell’uva è diventato una piccola spa, con tanto di sauna e doccia emozionale.
Il cascinale fuori dal paese dedicato ai “Marroni“ nel quale oltre a coltivare mirtilli sbocciano passioni per il silenzio, che da queste parti sembra essere d’oro più che altrove: i francesi ne vanno pazzi.
Le cantine coi mestieri di una volta divenute posti “da ascoltare“, da leggere, che mettono a braccetto la pialla col cellulare: inquadri il codice QR e scopri cos’è la “schelcia” o la “cavra”.
Passato e presente, ricerca e cambiamento.
È incredibile, anche per chi ben conosce questi posti, passare qualche ora nel paese primato di affiliati a varesenews senza rimanere stupiti da quel mix di antico e moderno, dalla ricerca e dal cambiamento appunto che qui si respira.
Lo spiega il sindaco Cesare Moia incontrato sotto l’ombrello ancora vuoto di foglie del grande tiglio bicentenario vicino al cimitero, posto fissato da generazioni di villeggianti come luogo di ritrovo dei giovani, la sera.
Proprio il cimitero, che ospita l’antica chiesa di San Lorenzo in un pezzo di paese che si dice essersi salvato da una frana caduta dalla montagna secoli fa. Spiega Moia: «Qui a Orino venivano a stare i milanesi soprattutto d’estate che nel Dopoguerra compravano le case per fare la villeggiatura di famiglia. In molti hanno scelto poi altre località. Ma ultimamente si vede un ritorno all’interesse per questi luoghi. Non immaginate neppure quante visure catastali siano state richieste nei mesi del lockdown, tutti alla ricerca della casa dei sogni in mezzo alla natura».
Il buen ritiro è stato scelto anche da personaggi di cultura e spettacolo come Michele Mozzati, uno dei papà di Zelig, autore della serie fortunata delle “formiche che anche nel loro piccolo si incazzano” e che ha portato nella piazzetta volti noti dello spettacolo con le oramai mitiche scene dell’anziana in coda per comprare il latte con Claudio Bisio o Angela Finocchiaro alla ricerca di una copia del Corriere.
La Rocca di Orino, il balcone sulla valle fra tradizioni e mistero
Ma, fuori dalle eccezioni – che comunque, qui, si sentono a casa – la comunità di questo paese di 850 abitanti sembra raccogliersi attorno sì ai simboli visibili di sempre come la montagna, la Rocca, il Pian delle Noci (a metà strada fra la piazza e il Forte) ma anche a tradizioni che rischiano di andare perse senza il coinvolgimento dal basso.
Quindi ecco il progetto dell’ecomuseo che ha trasformato vecchie cantine impolverate in un pugno di metri quadri di sapienza letteralmente costruita con lo sforzo scientifico dei professori dell’Insubria ma anche muscolare, vedi i residenti che hanno portato carretti dimenticati, utensili declassati a semplici cianfrusaglie da soffitta e diventati invece i pezzi d’antiquariato rurale «che lasciano a bocca aperta il pubblico tedesco», come spiega Alessio Ceriani, trapiantato come tanti da Milano in paese, delegato del sindaco per il progetto delle cantine che parlano.
A proposito di lingua, qui negli ultimi anni c’è stata pure la rinascita del dialetto, tanto che la biblioteca civica è stara trasformata in un avamposto del vernacolo con alcune centinaia di libri scritti non solo in meneghino o borsino, ma anche con altri idiomi a patire dal ticinese.
C’è, sotto il segno del dialetto, anche il progetto svelato a varesenews proprio in questo frangente per realizzare una sorta di “caccia al tesoro” dilettale grazie a piccole e grandi insegne in metallo che letteralmente mettono sul piatto enigmi esistenziali specialmente verso il battere della mezza: “De dent gialda, de fo tencia, l’è propri bona bela vuncia, se la scpuza del salmì, dimà e crosta resta lì”. Cos’è? La polenta, no? (copyright Gregorio Cerini).
Poi la faccenda dei detersivi. Si scopre che la tabaccheria del paese, unica “in presenza” rimasta nel giro di chilometri, vende detersivi sfusi. A prima vista un’impresa, nel paese dove c’è chi fino a pochi anni fa lavava ancora i panni nelle fredde acque dei due lavatoi comunali con l’intramontabile pezzo di sapone di Marsiglia, di per sé ecologico, ma un po’ lontano dalla formula del “dispenser” (oggi i lavatoi sono utilizzati per lavare la lana di capra dagli alunni della “scuola parentale” attiva qui e a Castello Cabiaglio).
Ebbene, questo negozio, come racconta Sergio Bassetti, ha ricevuto una certificazione ecologica proprio per via delle forti vendite di detersivi sfusi che limitano gli sprechi di plastica e abbattono la Co2.
Abitudini che cambiano, ma tradizioni che restano, come quella del raccontare e del farsi raccontare.
Ma dove? Esiste il Circolo, certo. Ma anche un altro luogo deputato inaspettatamente alle confidenze: il macellaio del paese, che candidamente ammette: «Sì, noi conosciamo i segreti di tutti», racconta Mauro Cilia. «Nel tempo di disossare un pollo, fra una pestata alla braciola e due svizzere da fare, i clienti si confessano». E un sorriso dietro la mascherina chiude il cerchio: non è poco, di questi tempi.
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