Marzo 1946, le donne al voto per la prima volta in provincia di Varese
Le amministrative del 1946 furono le prime a cui parteciparono le donne in provincia di Varese, prima ancora del referendum del 2 giugno. Una tornata elettorale molto partecipata: furono elette anche dodici consigliere, da Saronno ai paesi di montagna
Le prime elezioni che videro il suffragio universale femminile non furono esattamente quelle del 2 giugno del 1946, almeno per la provincia di Varese. Infatti, le varesotte andarono alle urne per la prima volta alle elezioni comunali tra marzo e aprile: per eleggere il sindaco e i consigli comunali di tutti i comuni italiani ci fu una lunga tornata elettorale, iniziata il 3 marzo e conclusa il 24 novembre. Un appuntamento in cui le donne furono protagoniste come elettrici ma anche come elette (foto di apertura: Castelgandolfo, 25 marzo 1946).
Un voto molto sentito e partecipato, l’affluenza in moltissimi comuni si aggirò intorno all’80-90% della popolazione – numeri impensabili oggi. Le donne furono particolarmente protagoniste: in molte città e paesi il voto femminile superò quello maschile spesso di oltre 5 voti percentuali.
Non solo votanti, però, le donne dal 1946 potevano essere votate: in provincia vennero elette Jolanda Ermoli Arnaud, a Sumirago (per i “socialcomunisti”, si scriveva allora sui giornali, Psi e Pc), Lucia Berarducci a Vizzola Ticino, anche lei tra le file della sinistra.
Celeste Seriani e Giovanna Rozza a Saronno, a Gemonio Linda Jemoli Cerruti(Democrazia Cristiana), Alice Tittoni a Montegrino Valtravaglia, Ersilia Morosi a Sesto Calende (Socialcomunisti e azionisti), a Laveno Ponte Tresa Luigia Fraschini (per i socialcomunisti), Anita Orelli a Valganna (per “Combattenti e reduci”), Luigia Sbordellati e Maria Vanetti a Casale Litta (la prima tra la maggioranza dei socialcomunisti, la seconda con la Dc), Lina Camieri Parolo a Casorate Sempione (con la Dc). Ottennero fin da subito un ruolo attivo.
Elezioni 1946: il voto in primavera
I comuni della provincia votarono su quattro domeniche, dal 17 marzo al 7 aprile. La prima domenica di voto per ventuno comuni vide una partecipazione maggiore delle donne rispetto agli uomini, rispettivamente 29.538 e 26.537 votanti, eccezion fatta per Marzio, dove votarono 84 donne e 88 uomini. I social-comunisti ebbero la maggioranza in 13 città, la Democrazia Cristiana ne ottenne 6, mentre in 2 vinsero gli indipendenti.
Nel saronnese, Caronno Pertusella vide una parità tra i voti maschili e femminile (93%), un lieve superamento da parte delle donne a Cislago (91% contro il 90% dell’affluenza maschile) e a Saronno (86% contro un 85% del voto maschile).
La seconda tornata elettorale fu domenica 24 marzo, per altri 26 comuni. Tra questi, 21 andarono alla sinistra, 3 ai democristiani e 2 agli indipendenti. Andò alle urne l’87% dei votanti, una percentuale leggermente inferiore rispetto alla prima giornata di voto (89% di affluenza); l’afflusso alle urne più alto, riportato da “La Prealpina” di allora, è stato registrato a Oggiona con Santo Stefano, dove votò il 97% della popolazione iscritta alla sezione.
In quella giornata a Gallarate la sinistra conquistò 24 seggi, la Dc 6: tra le aventi diritto, votò il 90% delle donne, mentre l’affluenza maschile fu di poco superiore (91%). Fu la volta anche di Besnate, dove votò il 92% delle donne, superando gli uomini (91%), e di Somma Lombardo, dove entrambi i generi registrarono l’88% dell’affluenza.
10 marzo 1946: votano a Roma la moglie e la figlia di Alcide De Gasperi, allora presidente del Consiglio (del Regno d’Italia) e ministro degli EsteriSul Lago Maggiore toccò ad Angera, dove votò l’83% delle donne, superate dall’89% degli uomini, Ispra (86% delle donne e 87% degli uomini); infine a Taino, dove stravinse la sinistra, gli uomini (89%) superarono le donne nell’affluenza (85%).
Domenica 31 marzo, dei 34 comuni al voto, in 16 vinsero i socialcomunisti, in 3 i socialisti, altri 3 comuni andarono alla Democrazia Cristiana, 2 ai democristiani indipendenti e 1 ai socialisti indipendenti. In alcuni paesi – come Porto Ceresio, Rancio Valcuvia e Castelveccana – «la lotta tra democristiani e socialdemocratici è stata accanitissima», si legge su “La Prealpina” del 2 aprile 1946. Nella terza giornata di elezioni il voto femminile ha superato quello maschile, come a Busto Arsizio, dove votò il 93 delle iscritte alla sezione, mentre andò alle urne solo l’88% degli uomini.
In tutto il gallaratese la percentuale dei voti femminili supera quelli maschili; votarono Albizzate (93% delle donne e 92% degli uomini), Cardano al Campo (94% delle donne e 93% degli uomini), Casorate Sempione (93% delle donne e 90% degli uomini), Ferno (90% delle donne e 87 degli uomini), Lonate Pozzolo (91% delle donne e 90% degli uomini), Solbiate Arno (97% delle donne e 95% degli uomini) e Vergiate (89% delle donne e 83% degli uomini).
Molto bassi rispetto alla media i risultati registrati di Luino, che vide un’affluenza maschile del 74% e femminile del 68%, dovuti in parte al fatto che gli scrutini sono continuati fino a tarda serata in alcune sezioni e non sono state comunicate le percentuali di affluenza ai cronisti. Anche a Maccagno l’affluenza fu bassa, registrando uno stacco di dieci punti percentuali tra gli uomini (72%) e le donne (62%); a Rancio Valcuvia il voto femminile raggiunge il 77%, quello maschile l’86%.
La prima pagina della Prealpina di uno dei giorni delle elezioni: in quel periodo la testata si chiamava “Corriere Prealpino”, per marcare la discontinuità con il periodo di dittatura, in cui il quotidiano era nelle mani dei fascistiDomenica 7 aprile votarono gli ultimi 35 comuni della provincia: tra questi, 22 andarono ai socialcomunisti, 9 ai democristiani e 3 agli indipendenti. «La quarta domenica elettorale – si legge nell’articolo del 9 aprile – non differenziò dalle altre, solo si nota una leggera diminuzione della percentuale dei votanti (83%). Anche le donne hanno ceduto, nei confronti degli uomini».
A Varese vinse la Dc, con 14.346 voti: la percentuale dei voti femminili fu dell’80%, superata di poco da quella maschile (81%).
In termini di affluenza andò meglio nel Gallaratese: a Cassano Magnago i voti maschili e femminili si equivalsero (91% entrambi), a Samarate votò il 97% delle donne, superando gli uomini (92%), a Sesto Calende l’affluenza fu quasi un testa a testa (89% donne, 88% uomini). Parità in percentuale a Gazzada (89% per entrambi i sessi) e a Castiglione Olona (92%). Il voto maschile andò meglio a Comerio (78% contro il 76% delle donne), a Daverio (86% contro l’84%), a Comabbio (80% contro il 71%) e a Malnate (79% contro il 75).
Curioso il caso di Crosio della Valle, dove il voto femminile arrivò al 91%, mentre quello maschile al 84%. Bisogna precisare che il risultato così alto e una così marcata disparità sono influenzati dal numero esiguo degli iscritti alla sezione (211 votanti).
Il femminismo italiano e il voto alle donne
L’Italia arriva tardi al suffragio femminile universale rispetto ad altri paesi, europei e non; il suffragio universale maschile, invece, è stato conquistato dagli italiani nel 1912. La nazione capofila nella conquista del diritto al voto fu la Nuova Zelanda (1893); seguirono poi Australia (1902), Finlandia (1906), Danimarca, Svezia, Uruguay e Russia (1917), Romania (1918), Germania (1919), Canada (1920), Turchia (1923), Regno Unito (1928, anche se potevano votare alle elezioni locali già dal 1832), Sudafrica (1930), Spagna (1931) e Brasile (1932).
L’accesso delle donne alla res publica è stato fin da subito ostacolato. Una delle tante motivazioni era di carattere “fisiologica”: le differenze biologiche tra uomini e donne erano tali da non rendere le donne adatte alla vita politica. Il primo movimento femminista italiano, nato a fine Ottocento poco dopo l’Unità, si batté fin da subito per la conquista del suffragio, ma la Prima Guerra Mondiale fu di grande intralcio per il raggiungimento, come ben riepiloga Giulia Siviero su Il Post.
Congresso di Piombino dell’Unione Donne Italiane, organizzazione della sinistra vicina a PSI e PCI, 8 marzo 1953Tra le prime femministe italiane – ricorda Jennifer Guerra su The Vision – ci sono Gulaberta Beccari, Giuditta Brambilla, Carlotta Clerici, Anna Kuliscioff, Anna Maria Mozzoni.
Passata la Grande Guerra, Benito Mussolini riprese in mano la questione a fini propagandistici, promulgando nel 1925 una legge che allargava la partecipazione femminile al voto alle amministrative. Tre mesi dopo, però, venne introdotta una riforma che sostituiva i sindaci con i podestà: niente voto per tutti, ma soprattutto le donne che persero un’altra occasione.
La volta buona fu nel 1945, grazie al continuo lavoro dell’Unione donne italiane: il 30 gennaio 1945 il Consiglio dei ministri approvò il decreto (curiosità: escludendo le donne schedate per prostituzione in strada); le prime due occasioni per esercitare il diritto di voto furono appunto le amministrative e il referendum istituzionale del 1946.
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